Un carico di patate verso Anversa. L’atlante di Ortelius e la prima zuppa

1570. Il 5 marzo Cosimo I de’ Medici diventa il primo granduca di Toscana e dopo qualche mese iniziano una serie di scosse sismiche a Ferrara che portarono al grande terremoto del 17 novembre. In totale si contarono circa 2.000 scosse.

Anversa, 20 maggio 1570. Viene dato alla stampe il Theatrum Orbis Terrarum a cura di Gilles Coppens de Diest. 53 fogli incisi da Francesco Hogenberg. Abramo Ortelio – Abrahamus Ortelius – cartografo e geografo fiammingo originario di Anversa, realizza il primo atlante e per la prima volta il mondo viene mostrato davvero come un teatro. Tutto su di un piano solo, tutto in orizzontale. A dire il vero sei anni prima Ortelio si era cimentato anche nella realizzazione di un mappamondo, il Typus Orbis Terrarum. Ma il suo atlante può essere definito come un compendio coordinato e uniforme delle conoscenze cartografiche dell’epoca, attento anche a citare le fonti elencate in una lista allegata: era una sintesi di 70 mappe e di 87 riferimenti cartografici che divennero più del doppio dopo 31 edizioni. Nella stessa giornata del 20 maggio, più probabilmente di sera, Ortelio avrebbe potuto consumare una zuppa di patate. Perché?

Anversa, 28 novembre 1567. A questa data si riferisce un documento fiscale che riferisce di un carico di patate spedito da Las Palmas destinazione porto di Anversa. Già qualche anno prima ci sono state spedizioni a Siviglia e in Italia. La patata viene già descritta dal gesuita spagnolo Josèé de Acosta, dal matematico Girolamo Cardano e dal medico botanico Pietro Andrea Mattioli. La sua opera complessiva sulle piante è del 1565. Dopo questa data le patate – o le tartuffole come le chiamavano – si diffondono rapidamente nei giardini botanici delle università di Padova, Verona e Bologna così come a Firenze. Tuttavia rimangono in un primo tempo ancora una curiosità botanica. C’è diffidenze e pregiudizio attorno al tubero: nasce sottoterra, nel buio, e quindi legato ad una dimensione infernale. Nel 1619 le patate sono vietate in Borgogna perché si pensa siano collegate alla diffusione della lebbra. Certamente cambieranno il sistema nutrizionale europeo: hanno un carico di calorie e vitamine superiore a tutti gli altri alimenti dell’epoca.

Bibliografia: Alessandro Giraudo, Storie straordinarie delle materie prime, add Editore, Torino 2019 | Giorgio Mangani, Il mondo di Abramo Ortelio. Misticismo, geografia e collezionismo nel Rinascimento dei Paesi Bassi, Franco Cosimo Panini 2006 

Immagini: Theatrum Orbis Terrarum 

Dentro l’odore del legno. L’inventario dei beni di Zuan Maria cerchier da barche

Venezia, 8 settembre 1596. Il sestiere di Dorsoduro non è a vocazione commerciale, ci sono i rumori che escono dagli squeri ovvero i cantieri di fabbricazione e allestimento delle imbarcazioni lagunari. Qui, nella Parrocchia di San Trovaso, ha la casa e la bottega Zuan Maria de Rafael, artigiano specializzato negli elementi curvi dello scafo.

In questa data il notaio Antonio Brinis redige l’inventario dei beni di Zuan Maria, cerchier da barche a San Trovaso. Viene così dettagliato l’inventario delle robbe et beni mobili su istanza della moglie Mada Anzlica perché suo marito è partito da quattro giorni per voler andare fuora di questa città alla ventura et haver detto alla predicta sua consorte <<Dio sa se ti vederò più>>. 

Entriamo nella sua abitazione e muoviamoci curiosi insieme al notaio tra i beni di Zuan. Non ci deve stupire la presenza di dipinti, in totale sono 22 tra cui 16 disegni: uno quadro di Nostra Donna con soaze di noghera, un quadreto piccolo dorato con li 3 Magi, un quadretino piccolo de Madona, tre altri quadri de Madona vecchi schietti, quadretini piccioli de carta soazadi negri n.16. Poi si continua con il mobilio: una littiera de noghera, doi letti de piuma, doi stramazzi de lana grande et un piccolo, quattro cussini de piuma, secchi n.9 de rame battuidi, secchi n.4 de rame schietti, doi scaldaletti, una padella de rame, doi caldiere grande, una caldiera mezana, doi ferri da fuogo, tre cadene da fuogo, sei lume de ferro, tre saliere de peltro, peltri pezzi n.10, sette candelieri de laton, uno secchieleto piccolo de laton da acquasanta, sculieri de laton n.51, cortelli de ferro n.12, pironi de ferro n.12, una credenza de noghiera intaiada, pezzi de massarie devisi in piadene, taieri, maioliche, scudelle et altre massarie grosse in tutto pezzi n.157, mastelli tra grandi et piccoli n.8, uno scragneto picolo, carieghe de noghiera desnodade n.5, carieghe de paia n.2, casse depente rosse con pomoletti doradi n.5, una cassa granda de noghera da mariner, tre tapedi vecchi, panni verdi schietti, una vestura de panno rosso, doi veste negre de scotto, uno paro de braghesse de panno negro, uno paro de braghesse de zambeloto, uno paro de braghesse bianche de roverso, uno zipon de panno roan, una camisiola rossa vecchia, una vestina de zambeloto negro sucada, uno capel de pagia, doe cortelle, una spada, uno stilo, un pugnal, una mazza de ferro, uno paro de maneghe bianche gucchiate, una intimella con scarpete vecchie rotte dentro, una carpeta de panno rosso.  

Al momento dell’inventario si apre, con poco senso del pudore, cassoni, casse e contenitori. All’interno di alcune casselete de noghera o intarsiade vengono trovati: fazzoletti de renso n.16, pezzi da spalle n.10, una cappa negra da dona, lincioleti da testa n.2, fazzoletti de naso n.48, fazzoletti vergadi n.7.   

Poi è la volta delle robbe della bottega. Scufine n.7, scarpelli da piana n.12, verighole tra grande e piccole n.15, manere tra grande e piccole n.6, sieghe tra grande e piccole n.8, lime da cerchi n.4, raspe da cerchi n.10, balance n.5, compassi n.3, tenagie n.3, assete n.5, siegone n.2, raspete n.6, cimosse n.3, una cassella da chiodi, cerchii da gondola tra rotti e boni non finidi n.13, cavaletti da metter sotto le noghere per siegar n.12, mazze da barche da lavorar n.600, mazza da barche lavorada n.50, forcole diverse tra grande et picole finide et da finir n.87, remi tra fatti e grezai n.7, remi grezi n.13. 

GLI SQUERI. Ce ne sono diversi: “Ai Biri”, nel sestiere di Cannaregio, Piero figlio di Antonio di Burano, usa tavole, seghe, ferri e pali. Costruisce gondole così come lo squero di Giorgio della Brazza a San Barnaba, specializzato in delfini e colombe da gondola. Zuan Maria è specializzato nella costruzione di elementi curvi dello scafo chiamati “cerchi da gondola”. I serci o cerchi sono delle lunghe assi, sagomate e curvate, che formano la parte superiore dei fianchi dell’imbarcazione. Possiede una completa strumentazione: lame, seghe, accette, lime, pialle, chiodi. L’inventario ferma il tempo al momento dell’ultimo ingresso in bottega di Zuan: si notano lavori finiti e altri solo abbozzati come le forcole ovvero i tipici scalmi sagomati.

Glossario minimo: carpeta=sottana; intimella=federa per guanciali; noghera=legno di noce; piron=forchetta; renso=tessuto di lino candido; soaza=cornice; verigola=strumento di legno per forare il legno; zambellotto=tessuto di lana di capra o cammello; assete=accette.

Bibliografia: Isabella Palumbo Fossati Casa, Dentro le case. Abitare a Venezia nel Cinqucento, GambierKeller editori, Venezia 2103 | ASV, Notarile Atti, notaio Anotnio Brinis, reg. 473, fol. 25Ir, 8 settembre 1596. 

Immagine: Squero di San Trovaso, Venezia

Il mondo mentre partiva Gulliver. Lillipuziani, città in aria e cavalli parlanti

Mantova, 1699. Ferdinando Carlo ha 47 anni, Casale era stata riconquistata ma ormai priva del suo valore strategico e militare. Mancava un anno alla guerra di successione spagnola, ne mancavano 8 alla fine della dinastia Gonzaga e 9 alla sua morte personale.

Madrid, 1 novembre 1700. Muore Carlo II di Spagna e si estingue la linea spagnola degli Asburgo. Ha origine così la guerra di successione spagnola. Prima di morire Carlo II decise di affidare tutto l’Impero spagnolo al suo pronipote Filippo, ovvero il nipote di Luigi XIV di Francia che già gongolava al pensiero di riunire due dei troni più potenti d’Europa. La stabilità europea stava per essere compromessa.

Bristol, 4 maggio 1699. Il primo viaggio viene intrapreso dal protagonista per mancanza di denaro: Lemuel Gulliver decide di imbarcarsi su una nave come chirurgo di bordo. Appartiene alla borghesia inglese, è nato nel Nottinghamshire, ha studiato a Cambridge e poi medicina all’Università di Leiden, apprendista a Londra ed è alto 195 centimetri.

Gulliver salpa dal porto di Bristol il 4 maggio 1699. Dopo sette mesi di navigazione naufraga a causa di un terribile temporale sulle coste di una terra sconosciuta agli uomini. Al suo risveglio si trova legato da uomini alti circa 15 centimetri, sono gli abitanti delle isole vicine di Lilliput e Blefuscu. Altro viaggio, altra tempesta e nuovo approdo misterioso nell’isola di Brobdingnag. Qui viene accolto da un contadino che misura 22 metri di altezza. La regina ordina la costruzione di una piccola casa per l’ospite, che viene definita “scatola da viaggio”. Gulliver, durante il soggiorno, si trova ad affrontare delle vespe giganti. Tornato in Inghilterra, decide di partire con la nave Hopewell diretta verso le Indie Orientali. La nave viene attaccata da pirati olandesi e Gulliver si ritrova abbandonato su un’isola rocciosa vicina all’India prima di venir salvato dalla città volante di Laputa. Gli abitanti sono attivi in numerosi esperimenti inutili: l’estrazione dei raggi del sole dai cetrioli, l’ammorbidimento del marmo per produrre cuscini, la miscela di vernici in base all’odore e l’indagine di cospirazioni politiche tramite l’analisi delle feci dei sospettati. L’ultimo viaggio Gulliver lo fai n Giappone come capitano di un mercantile. Viene abbandonato in una terra sconosciuta dove incontra gli houyhnhnm ovvero i cavalli razionali perché dotati di intelligenza e parola. Nelle stesse terre vivono gli yahoos, simili agli esseri umani ma più abbruttiti.

1715. Il mondo è cambiato. Il 3 maggio In Inghilterra si verifica un’eclissi solare totale. Il 1 settembre muore Luigi XIV a Versailles. John Lethbridge, a 40 anni, sviluppa la prima tuta da palombaro con una autonomia d’aria di 15 minuti. Gulliver può ritornare in Inghilterra da moglie e figli ma niente sarà più come prima.

 

Bibliografia: I viaggi di Gulliver, Mondadori 2003 

Immagine: Francesco Brunacci, Planisfero del globo celeste 1687 (Dusseldorfer Auktionshaus). Dimensioni: 420 x 560 mm. L’artista Mariotti illustra le 67 costellazioni in uso nel Seicento. 

Dentro le librerie dei palazzi. Storie di famiglie, eredi e inventari

Palazzi, famiglie e collezioni. Tra Cinquecento e Seicento si assiste ad una proliferazione di nuovi palazzi costruiti, acquistati o abbelliti da parte di famiglie mantovane e non di lunga data, nuove famiglie e nuovi imprenditori arrivati in città. In queste famiglie ci sono molti funzionari, diplomatici e persone che scalano posizioni nella corte gonzaghesca. Oltre alle collezioni di dipinti, sculture e altri oggetti rari si registra la presenza di biblioteche all’interno dello studiolo del padrone di casa. Testi classici, latini e greci, prime edizioni, codici miniati e libri prodotti prima dell’invenzione della stampa. Tutto questo fa parte dell’eredità familiare che fluisce da una generazione all’altra. Un autentico patrimonio di carta, parole e conoscenza che viene, in genere, documentato all’atto della morte. Gli inventari in questo caso – ma non è sempre così – avvengono qualche giorno o settimana dopo la morte. Solo nelle mani dei cinque personaggi che andrò a descrivere troviamo riunito un patrimonio di 3.500 libri.

BALDASSARRE SENZA CORTEGIANO. Nel 1529 viene realizzato l’inventario dei beni di Baldassarre Castiglione nel suo palazzo in piazza San Pietro. Si registra la presenza di 144 libri, soprattutto di autori classici e greci, ma soprattutto l’assenza della copia del libro del Cortegiano appena stampato l’anno prima. Altri 40 libri invece sono a Toledo dove si trovava Baldassarre. Una breve e non esaustiva lista: Flavio Biondo, Ermolao Barbaro, Guarino da Verona, Cicerone, Marziale, Seneca, Giovenale, Euripide, Petrarca, Aristofane. I dieci testi greci confermano la conoscenza della lingua da parte del letterato.

UNA FAMIGLIA FIORENTINA. Nella contrada del Leone Vermiglio è ubicato il palazzo della famiglia Strozzi. Il 29 luglio del 1631 viene realizzato l’inventario dei beni di Giulio Cesare Strozzi, figlio di Pompeo a sua volte nipote di Tommaso Strozzi che tra il 1516 e il 1523 aveva portato a Mantova alcuni cartoni della Battaglia di Anghiari di Michelangelo. Nello studio si trova la libreria che contiene oltre 100 volumi insieme ad una notevole collezione di medaglie antiche di piombo (240) e in oro e argento (30).

I CALANDRA E L’ORDINE. Vicino al Castello di San Giorgio, in contrada dell’Aquila, sorgeva l’abitazione della famiglia Calandra, da sempre castellani e funzionari dei Gonzaga. L’inventario di Giovan Giacomo juonior, redatto nel 1591, nello studio l’archivio e la libreria di famiglia sono presenti oltre 1.600 libri descritti con titolo, autore e misure. Sono disposti su delle scansie tutto attorno alle pareti della stanza, spesso raccolti per soggetto e per ordine alfabetico.

IL MEDICO COLLEZIONISTA. Ancora nella contrada del Leone Vermiglio, dopo il convento di Sant’Orsola, c’era il palazzo di Marcello Donati, chiamato “Il Borgo”. Ottenuto il dottorato in medicina e filosofia, Marcello diventa il precettore di Vincenzo I nonché consigliere di stato. Aumenta la già cospicua collezione del padre Ettore – composta da 96 volumi – e arriva al numero di oltre 1.200 così come registrati al momento dell’inventario nel 1602. Ovviamente la materia era soprattutto medicina e filosofia.

RELIGIOSO E CONSIGLIERE. Tullio Petrozzani era un membro influente della corte di Vincenzo I diventandone nel 1587 il consigliere di stato e nell’ultima parte della sua vita Primicerio della Chiesa di Sant’Andrea. La sua libreria, nell’inventario del 1609, era composta da 350 volumi suddivisa in autori classici, moderni e di legge.

 

Bibliografia: Guido Rebecchini, Private collectors in Mantua 1500-1630, Sussidi Eruditi 56, Roma 2002

Immagine: Fonte Pixabay, immagine di repertorio 

Dentro la bocca. Cosa mangiavano i contadini di Bruegel

Bruxelles 1564. Peter Bruegel è arrivato da un anno dopo il matrimonio con Mayeken Coecke, figlia del suo maestro. Qui darà vita ai suoi quadri più celebri tra cui il meno conosciuto Testa di vecchia contadina, datato 1568, un anno prima della morte di Peter. La tavola è di piccolo formato, 22×18 centimetri. La bocca è leggermente aperta, si intravedono due denti. Proviamo ad entrarci, proviamo a leggere più umanamente la bocca dei suoi contadini.

IL CONTESTO. Dopo la successione delle ondate di peste si registra un aumento della popolazione in seguito all’espansione delle terre destinate ai cereali che costituiscono la base dell’alimentazione popolare a spese della varietà della dieta e del consumo di carne. La frequenza e la gravità delle carestie si accentua solo nella metà del secolo, tra il 1556-57 – ovvero gli anni dei Proverbi fiamminghi di Bruegel – e poi nell’ultimo decennio (1590-93). Si assiste nel Cinquecento ad un mutamento delle abitudini alimentari soprattutto dopo la la Riforma protestante che sottolinea ancora di più il divario fra area cattolica e area protestante. Fino alla metà del 500 il regime alimentare europeo è decisamente carnivoro a vantaggio però delle classi più abbienti. Tra i contadini si registra un consumo di carne di maiale, salata o affumicata. Tuttavia si registra una diminuzione pro capite di consumo di carne: Braudel segnala la diminuzione del numero di macellai in una cittadina francese del basso Quercy. 18 nel 1550, 10 nel 1556, 6 nel 1641, 2 nel 1660, 1 nel 1763. In due secoli da 18 a 1.

SOPRATTUTTO IL PANE. Questi dati vanno letti in correlazione all’aumento demografico, all’aumento delle superficie coltivate a cereali e alla diminuzione delle zone destinate all’allevamento. Per favorire una crescita demografica era necessario aumentare la coltivazione di cereali. Infatti per le classi più povere il pane diventa un elemento fondamentale per l’alimentazione quotidiana. Quale pane? Non bianco, non salato, non saporito. Cambia la tipologia di pane: molte città europee perdono il monopolio sul mercato europeo progressivamente in favore della spelta, segale, o misture di orzo, avena, legumi e farina di castagne.

RISO, LATTE E ZUPPE. A partire dal XVI secolo arriva nei Paesi Bassi il riso dalla Spagna, diffondendosi poi Francia e Germania. Analogamente viene coltivato anche il grano saraceno – grazie al vantaggio di crescere su terreni poverissimi – e consumato sotto forma di farinate, pappe, crespelle o polenta. Nell’orto erano presenti cipolle, legumi, cavoli, rape, erbe di campo. Tutto il necessario per una buona zuppa, magari con una fetta di pane e un po’ di formaggio. Infatti avere una mucca nella stalla voleva dire latte, latticini e un saporito condimento. La patata ancora non aveva avuto fortuna: la prima testimonianza di un suo uso alimentare è indicato in Spagna nel 1573. Bruegel e i suoi contadini, per certo, non l’hanno mai mangiata.

CARNE, PESCE E UOVA. I contadini mangiavano raramente polli e conigli, usavano certamente le uova che comunque dovevano in parte destinare alla vendita. Chi viveva vicino ad un corso d’acqua poteva pescare senza dover andare al mercato ad acquistare i pesci. Con la frutta presente – mele, pere e ciliegie – si facevano le confetture oppure si essiccavano. Chi aveva la vite e gli strumenti necessari poteva fare il vino, sempre di seconda torchiatura, leggero di alcol e abbastanza chiaro di colore.

Bibliografia: Pierluigi Ridolfi, Rinascimento a tavola. La cucina e il banchetto nelle corti italiane, Donzelli editore, 2015 Roma 

Immagine: Testa di vecchia contadina, 1568. Alte Pinakothek di Monaco (Germania)

 

Nella casa di Bertazzolo. La collezione dell’uomo della mappa

Mantova 1626. Muore Gabriele Bertazzolo, architetto e ingegnere di corte, dopo un lungo servizio di 35 anni per la famiglia Gonzaga. La sua casa era vicina dal Palazzo Ducale, anzi era proprio nella stessa estensione della dimora “nella contratta dell’Aquila in corte di sua altezza serenissima”, a fianco del giardino dei Semplici. Ma come era l’interno della sua residenza? cosa collezionava? Entriamo tra le stanze dell’artista diventato quasi esclusivamente famoso per la mappa della città. In verità c’è molto altro.

LE STANZE. L’inventario dei beni conservati nella sua casa viene realizzato nel novembre del 1626. Bertazzolo aveva 74 dipinti suddivisi così: 58 nella sua casa di Mantova e 16 a Governolo nella sua residenza estiva. Inoltre si registra la presenza di 34 sculture collocate nel suo studio. I dipinti nella casa mantovana sono distribuiti soprattutto in tre stanze ovvero nella sala e nei due camerini, uno dei due “bislongo” e con la funzione di piccola galleria. Nel camerino 18 dipinti, in quello bislongo 21 (di cui 4 paesaggi) e 20 formelle per la realizzazione della stampa ad incisione della mappa di Mantova. Vicino a questa stanza c’era lo studio che conteneva circa 400 volumi, 7 dipinti, 13 medaglie in bronzo e una collezione di 24 sculture in bronzo, argento, cera e argilla. Nello stesso spazio si segnala un presepio copia da Jacopo Bassano, una piccola copia del Laooconte, un toro, un cavallo, due Ercole con l’Idra e uno forse con Anteo. Forse una coincidenza ma corrispondono ai soggetti lavorati da Giambologna.

GRANDI FORMATI. Nella Sala si trovavano le opere di grande formato, circa 250×150 centimetri: “un’ancona grande con sopra l’angelo custode, alta braccia 5, larga braccia 3”, un ‘altra ancona “con sopra la Madona, Nostro Signore et santo Gioseppe, alto brazza 5 et largo 3”. Oltre a questi ci sono tre dipinti mitologici: il ratto di Proserpina, il ratto d’Europa e Venere e Cupido che misura 150×120 centrimentri. Si registra anche la presenza di un albero genealogico della famiglia Gonzaga, due raffigurazioni in acquerello di un elefante, una scena notturna e un atlante.

I DIPINTI. Si segnalano: due ritratti del padre Lorenzo Bertazzolo e del nonno, tre ritratti di Magellano, Vespucci e Colombo, “una pietà grande di mano del Zanbellino” (Giovanni Bellini), “un ritratto d’una donna antica di mano di Ticiano, un altro simile di mano dell’istesso” e “una Madonna con il santo Giovanni battista et santo Andrea di Titiano”, una “Artemisia copia del Fetti”, un “angelo che sona de leauto copia d’Alberto Duro, fatta dal Parmesanino” e un “ballo delle Muse del Schiavone”. Del Durer potrebbe trattarsi della copia dell’angelo che suona il liuto della famosa Pala del Rosario.

TIRAR LE SOMME. La collezione del Bertazzolo si dimostra in linea con quella dei suoi contemporanei Borgani (morto due anni prima) e Antonio Maria Viani (morirà nel 1635). Il primo avrà una collezione più modesta fatta di 24 dipinti e 12 sculture, mentre quella del secondo conta oltre un centinaio di dipinti. Si può evincere un interesse comune e ormai consolidato per la pittura fiamminga. Gli artisti-collezionisti del Seicento mantovano si dimostrano più attivi dei loro predecessori del Cinquecento, le cui collezioni si aggiravano al massimo ad una decina di dipinti.

 

Bibliografia: Guido Rebecchini, Private collectors in Mantua 1500-1630, Sussidi Eruditi 56, Roma 2002

Immagine: Urbis Mantuae descriptio, pianta prospettica della città, Gabriele Bertazzolo, 1628 (BCMn, stampe rotolo 1). Foto da Mantova Fortezza

Piazze in festa, giochi e passatempi. Bambini felici o quasi

Firenze 1560. La congiura questa volta è ideata dalla famiglia Pucci per uccidere Cosimo I de’ Medici. La prima volta avvenne nel 1559 ad opera di Pandolfo, figlio del cardinale Roberto Pucci. Si conclude con il taglio della testa dei cospiratori. La seconda volta fu nel 15 anni dopo e coinvolse Orazio figlio di Pandolfo, un Frescobaldi, un Ridolfi, un Capponi, un Machiavelli ed altri pochi nobili fiorentini.

Anversa 1560. Mentre si congiura i bambini si ritrovano in piazza e giocano all’aria aperta. Si divertono pensate voi, ovvio. Ma non è così scontato. Peter Bruegel dipinge circa 80 giochi diversi su una tavola di 118 x 161 centimetri. Sono più di un centinaio i bambini che mettono in scena questo teatro dell’infanzia, spensierata e creativa. Anche se i sorrisi che si possono contare sono pochissimi: i volti dei bambini, in cima a corpi infagottati e solidissimi, sembrano maschere di cera, dallo sguardo fisso, come quello dei biscotti di marzapane.

L’elenco dei giochi è davvero lunghissimo. Ci sono azioni, oggetti, personaggi intenti. Comiciamo. Due giocatrici di aliossi o astragali sui quali venivano incisi dei numeri e usati per predire il futuro, una bambola di pezza che sta per essere cucita, una culla a dondolo, gabbie per uccelli, soffiatore di bolle di sapone utilizzando una cannuccia, chi fabbrica cappelli con gli stecchi, sonagli agitati, maschere, altalena, capriole ed esercizi ginnici a gruppi, finti cavalieri, giochi in acqua servendosi di un canotto formato da una vescica di maiale gonfiata (si usavano anche zucche svuotate), arrampicarsi sugli alberi, girandole, bocce, trottole, bastone e cerchi, lunghi nastri da agitare in aria, moscacieca, cavalluccio di legno col manico, tamburelli, zufoli, dondolarsi su grandi botti, pentolacce da colpire, lancio del cappello, cattura degli insetti, il gioco dei trampoli, birilli, il lombardo “ciancol”, palline di terracotta, giocare al finto matrimonio, scarica barile, far finta di avere una attività commerciale (si spiega l’uso della bilancia), lancio delle monete vicino al muro, morra, arrampicarsi su pertiche o altre costruzioni.

Tanto è complesso l’universo di gesti, oggetti e suoni quanto è semplice la tipologia di giochi fabbricati per divertirsi. I bambini sembrano piuttosto attingere dal contesto naturale e utilizzare molto il corpo in dinamiche di gruppo. Gli unici giochi costruiti sono le trottole, il cavalluccio, strumenti musicali, bambole o maschere. Si vede addirittura un bambino che sta gonfiando una vescica di maiale per utilizzarla come salvagente o come pallone. Questo porta alla riflessione che i giochi venivano prodotti dagli artigiani del villaggio o prodotti in casa o qualche volta dagli stessi bambini. Poche sono le bambine presenti, circa venti.

 

Bibliografia: Chiara Frugoni, Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini, il Mulino 2017

Immagine: Giochi di Bambini, 1560, Kunsthistorisches Museum Vienna

 

Aliprandina. Bonamente, il pilastro di Fancelli e la cronaca di Mantova

Mantova, 26 marzo 1414. Contrata Leonis Vermilis. Nel Palazzo degli Aliprandi viene rogato il testamento di Bonamente Aliprandi. I quattro metri di pergamena confermano che l’intero patrimonio verrà lasciato e gestito dalla moglie Margherita Robba.

IL PERSONAGGIO. Bonamente vivrà altri tre anni. In quel momento era uno dei personaggi più in vista della nobiltà mantovana. La famiglia Aliprandi, originaria di Milano, vantava una tradizione longobarda e c’è chi la faceva discendere addirittura dal re Liutprando. Il patrimonio di Bonamente si allarga grazie ad una serie di passaggi chiave tra cui la carriera militare a sostegno dei Gonzaga che lo porterà ad essere banchiere e consigliere di Ludovico e di Francesco I. Nel 1380, insieme con la moglie Margherita Robba partecipò alle nozze di Francesco Gonzaga con Agnese Visconti. Nel 1382 lo troviamo ad Avignone nel ruolo di ambasciatore per manifestare la fedeltà gonzaghesca al papa avignonese Urbano VI. Anche nella città ricopre cariche di prestigio: nel 1388 fa parte del Consiglio degli Anziani e nel 1389 è Massaro del Comune. La riconoscibilità è massima. Diventa infine Priore del collegio dei giureconsulti.

IL MECENATE. Oltre alle questioni politiche, Bonamente si interessa anche alle questioni di natura sociale. Finanzia, con ricche elargizioni e donazioni, gli abbellimenti e le ristrutturazioni delle chiese come la vicina San Giacomo e il Santuario di Grazie. Altre elargizioni vengono fatte al consorzio di Santa Maria della Coroneta che si occupava di dare accoglienza e sostegno ai poveri della città. Nel 1398, nei pressi del Palazzo del Podestà, fa edificare un oratorio in onore della Vergine, in seguito affidato alla Confraternita della Morte, incaricata di assistere i condannati alla pena capitale.

IL TESTO. Bonamente studiò giurisprudenza e non si dichiarava letterato, eppure scrive la Cronica de Mantua un poema in terza rima che racconta la storia di Mantova dalla sua fondazione fino al 1414. Anche se nel Novecento il suo lavoro venne giudicato da Pietro Torelli come attendibile e verificato da fonti d’archivio, l’opera di Bonamente è scritto in una forma dialettale del tempo mescolando fatti reali ad altri relativi al mito. L’opera fu proseguita fino al 1460. Il soprannome aliprandina viene attestata per la prima volta nell’edizione del Seicento.

LA DISCENDENZA. Crescimbene, il figlio di Bonamente, ottiene altre importanti cariche all’interno della famiglia Gonzaga. Il suo patrimonio deve essere ancora cospicuo visto che decide di far apportare migliorie alla casa da Luca Fancelli, l’architetto che rifà il look alle case delle nobili famiglie mantovane. Crescimbene muore nel 1468.

1417, IL CONTINUATORE. Non se ne conosce il nome, continua l’opera e segnala la tomba nella Chiesa di San Francesco.
Per seguitare l’opera alipranda
bela narativa cum intelecto
seguitar volgio pur non peservanda.
Homo naturale di bel aspecto,
asay neli altri homo saputo,
non dico gramaticho nel suo acepto,
Bonamente chiamato e chonosciuto
era nela cità bon citadino,
richo et astuto fidìa tenuto.
Per lui et ancho lo Signor divino
nel suo testamento fe’ legato
el qual è noto a ciaschun citadino.
In Santo Francischo è fabrichato,
ciaschuno che entra il po vedere,
la magnitudine di quel nobel stato
nel coro di fradi dove sta a sedere,
gran quantitade d’arçento certamente
costorono di certo al mio parere,
forsi duchati doc. mille amantinente,
pagati per lo consortio mantuano.
Como vedere se po certamente
nel processo passato non invano
so argomento pare certamente,
il suo intelecto come pare sano
a tante cose e di tanta gente.
Apresso di luy mi non serìa scolaro
che pur a luy fuosse sufficiente,
ma melgio che saprò perseguitarò
dirò alchuna cosa seguitando
pur che lo mio dire non sia in arro
Darò principio, non sagio como e quando,
a tanta fantasia como in processo
primayo d’Aliprandi pur prussando. 
Bibliografia: Antonio Bisceglia, Per una nuova edizione critica della “Cronica de Mantua”, in Civiltà Mantovana, Primavera 2012, 133, anno 47 | http://www.treccani.it/enciclopedia/bonamente-aliprandi_(Dizionario-Biografico)/
Immagine: pilastrino angolare del Palazzo degli Aliprandi

 

 

Animali noti e assemblaggi surrealisti. Le cronache dei viaggiatori medievali

1440. Meliaduse d’Este, figlio di Niccolò d’Este e Caterina Abaresani, parte per un viaggio di 9 mesi in Terrsa Santa. L’occasione è politica, niente fantasticherie di mondi sconosciuti. Il pellegrinaggio al Santo Sepolcro è in relazione al matrimonio tra Amedea Paleologa e Giovanni II Lusignano, re di Cipro. La sposa si era fermata a Ferrara prima del trasferimento a Venezia e l’imbarco verso l’Oriente. Il viaggio viene descritto da Meliaduse che si imbatte in una delle tante creature che la natura metteva di fronte a navigatori, pellegrini e curiosi. Sul Nilo rimane affascinato dal coccodrillo: decide di spendere qualche ducato per portarsi a casa la testa dell’animale. Nel Quattrocento Roberto da Sanseverino descrive il coccodrillo come un serpente – riprendendo il pensiero di Marco Polo – “grosso come uno gatto et longo forse per due volte: haveva 4 piedi”.

COMPOSIZIONI SURREALISTE. Gli animali, che solitamente non erano visibili nelle proprie città, vengono descritti come la somma di animali noti. In Egitto vengono visti lo struzzo e la giraffa che “è veramente a vedere una cosa molto contraffatta”. L’elefante, animale già più noto, appare invece così: “dal niffolo gli esce un budello quasi fatto a modo d’uno corno da sonare”. Nel Duecento il cinese Chao Ju-kua vede sulla costa della Somalia un cammello alto due metri che corre molto veloce (lo struzzo), l’asino marrone striato di bianco e nero (la zebra), un cammello-bue giallo con zampe diseguali e la testa più alta del corpo ovvero la giraffa. Nel Trecento Niccolò da Poggibonsi, un francescano, descrive i babbuini, le scimmie chiamate “gatti mammoni”, pappagalli, leopardi e lo struzzo “che fa l’uova così grande le quali noi appicchiamo in alto per le chiese”. Frescobaldi nel suo Viaggio in Terrasanta racconta di pecore con quattro corna, capre con le orecchie lunghe fino a terra e nenie da sussurrare ai cammelli per farli andare più veloci.

FANTASIE D’ORINETE. Poi tocca all’India, vero scrigno di fantasie. Qui i viaggiatori incontrano il rinoceronte che alcuni identificano con l’unicorno. Nel Trecento Ibn Battuta, viaggiatore nato a Tangeri, ne parla come di un animale brutto, nero, con un corpo ingombrante e poco estetico, dotato di una testa troppo grande rispetto al resto e con un corno in mezzo agli occhi talmente pericoloso da sventrare un cavallo. In Cina Odorico da Pordenone, tra le meraviglie che vede nella reggia del Gran Khan, si stupisce dei pavoni ammaestrati che sembrano danzare e della pesca con i cormorani. È il primo occidentale a descriverla.

LE VERSIONI DELL’UNICORNO. Al centro di ogni racconto e di ogni arazzo medievale, non appare a tutti gli scrittori allo stesso modo. Per Marco Polo più che un cavallo sembra un elefante: “hanno il pelo come i bufali e un corno grosso e nero in mezzo alla fronte; la lingua irta di spine e il capo come un cinghiaro”. Nel Quattrocento il mercante veneziano Nicolò de’ Conti nel Siam vede un’altra versione dell’unicorno: la testa non è di cavallo ma di maiale con la coda del bue.

L’ONDA LUNGA. La tradizione e le descrizioni di Plinio verranno utilizzate sia nel Medioevo e di conseguenza anche nel Rinascimento: Leone Africano dice che il camaleonte si nutre d’aria, Andrea Corsali invece lo descrive così: “non lascierò di dire doppo quel ch’io viddi, avegna che molti mi terranno per bugiardo, che la variazione fa secondo i soggetti che gli son posti”. Sta vedendo mutare il colore e noi con lui.

 

Bibliografia: Duccio Balestracci, Terre ignote strana gente. Storie di viaggiatori medievali, Editori Laterza 2008

Immagine: Seps- Bestiary, Royal MS 12 C XIX; 1200-1210

Mentre Pinamonte prendeva il potere. Cronaca di una casa nella Londra del Duecento

Londra, regno di Enrico III (1216-1272). La città ha una popolazione di 40.000 abitanti e la struttura urbana è fatta di contrasti: grandi edifici e rovine, case in legna e chiese in pietra, mura e stalle. Prendiamo l’esempio di un fatto di cronaca per entrare in una casa della Londra di fine Duecento. L’indagine si riferisce ad un delitto che vede un giovane uccidere la moglie usando un coltello. Non si conosce il movente ma ci dà la possibilità di leggere il loro inventario domestico. La coppia abitava in una piccola casa di legno su due piani con il tetto di paglia. Il pianterreno si apriva sulla strada: c’erano due sedie, un tavolo pieghevole, arnesi da cucina, alcune armi appese alle pareti. Tra gli utensili una padella, uno spiedo di ferro, otto tazze di ottone. Salendo una scala a pioli si raggiunge la camera di sopra che ospitava un letto, un materasso e due cuscini. In un cassettone di legno erano contenuti sei coperte, otto lenzuola di lino, nove tovaglie e un copriletto. Tra gli indumenti della coppia, nelle cassapanche e appesi ai muri, si contano tre sopravvesti, un mantello con cappuccio, due abiti, un cappuccio, un’armatura in cuoio e una dozzina di grembiuli. Per completare: un candeliere, due piatti, qualche cuscino, un tappeto verde e tende alle porte per contrastare gli spifferi.

Mantova, 28 luglio 1272. Mentre finiva il regno di Enrico III la città vede l’affermazione della famiglia Bonacolsi. Pinamonte, con l’appoggio del popolo e di alcuni nobili minori – tra cui gli stessi Corradi – insieme al conte Federico da Marcaria espelle dalla città il rappresentante del conte di San Bonifacio. Si trattava di Guido da Correggio. Con lui se ne vanno anche i Casaloldi. Pinamonte e Federico prendono possesso del governo della città con il titolo di rectores. Dopo qualche mese viene ripristinato il precedente sistema amministrativo e il 1 ottobre 1272 è in carica il nuovo podestà. Francesco da Fogliano da Reggio Emilia.

 

Bibliografia: S. Davari, Per la genealogia dei B., in Arch. St. lomb., 1901 | P. Torelli, Capitanato del popolo e vicariato imperiale come elementi costitutivi della signoria Bonacolsiana, Mantova 1923, in Atti e mem. Accademia vergiliana, n. s., XIV-XVI | Peter Ackroyd, Londra. Una biografia, Neri Pozza 2013

Immagine: City of London with Tower Bridge and Tower of London, Royal 16 F II, f. 73 (anni trenta del Quattrocento). Molto difficile reperire immagini relative alla Londra medievale duecentesca ma quella da me proposta appare in linea con la città di fine Duecento.