Il pittore da Zevio che porta Giotto nel Quattrocento

Viene definito innovatore della pittura ed è vero ma della sua vita sappiamo davvero poco. Figlio di Domenico da Zevio, nato in provincia di Verona, è raccontato da Vasari nelle Vite ed è citato come Aldigeri. A Verona fu discepolo di Turone. Nel 1384 è citato per il pagamento di un’ancora e che nel 1393 doveva essere già morto. Vasari lo reputa uno dei migliori pittori veneti del momento tanto che era famigliarissimo con i signori della Scala.

Il primo documento che cita Altichiero è datato 2 marzo 1369. Si tratta di un contratto stipulato tra il capitolo dei frati di Sant’Anastasia e “Altecherio pintore”. Le informazioni finiscono qua. Nel 1364 affresca nella Sala Grande di Cansignorio della Scala le perdute Storie della guerra giudaica e a Padova realizza nella Reggia dei Carraresi un ciclo di uomini illustri.

Poi lo troviamo a Padova nella cappella di San Giacomo all’interno della Basilica di Sant’Antonio. Le storie dedicate a San Giacomo vengono realizzate in collaborazione con il bolognese Andrea Avanzi mentre la Crocifissione è interamente opera sua su committenza dei marchesi di Soragna. Datazione tra il 1376 e il 1379.

Giotto è morto da quarant’anni ma è del tutto palese il contributo che ha dato allo stile e alla pittura di Altichiero. I personaggi, dalla ancor più matura volumetria giottesca, sono identificati ognuno con uno stato d’animo e un’espressione comunicativa e chiara, ogni volto appare così diverso e definito da farci dimenticare di essere nel Trecento. Una tale precisione e identificazione la troviamo solo con Gentile da Fabriano e Pisanello ma dobbiamo attendere altri quarant’anni. Lo stile cortese e gentile era quello maggiormente richiesto nelle corti del momento, non solo venete.

Immagine: Dettaglio della Crocifissione, cappella di San Giacomo 1376-1379

Bibliografia: Altichiero e la pittura a Verona nella tarda età scaligera, Cierre Edizioni, 2010 | Daniela Bobisut Sigovini, Lidia Gumiero Salomoni, Altichiero da Zevio. Cappella di San Giacomo. Oratorio di San Giorgio, EMP, 2011

Carri, buoi, tagliapietre e grossi pentoloni. Come si preparava il seguito di un esercito

Cosa voleva dire preparare un esercito nel Rinascimento? Non tratteremo qui il grosso delle truppe, le armi, le armature, gli elmi e i cavalli ma tutto ciò che invece era necessario al sostentamento dell’esercito e all’organizzazione di un campo. Spesso non ci si pensa ma un esercito è formato da sellai, fabbri, armaioli. Nelle Compagnie medievali su 10.000 soldati il doppio formava il seguito che era composto soprattutto da donne. Si occupavano di lavare la biancheria, macinare il grano e cucinare. Un esercito per muoversi aveva bisogno di molti carri e il doppio dei buoi. Una buona fornitura di cannoni e artiglieria richiedeva da soli 227 carri e 522 paia di buoi senza contare gli alimenti, l’acqua e il vino o birra.

Un esercito inglese negli anni trenta del Cinquecento mangiava manzo e pancetta, pesce salato e formaggio, pane biscottato, piselli, fagioli e fiumi di birra. Per la preparazione servivano grandi pentoloni. Si contavano infatti gli approvvigionatori di pentole, corde per archi, coperte, secchi che certamente lavoravano per essere pagati e quindi ci volevano i contabili con il loro seguito di pergamene, calamai e cera per i sigilli.

Non sono da dimenticare neppure i tagliapietre. Perché? I cannoni, ormai presenti e trasportabili, sono di più piccole dimensioni e meno pesanti rispetto al Quattrocento. Le munizioni sono palle di ferro, di piombo o di pietra. Prima del Cinquecento funzionava così e i carri, oltre al tagliapietre, trasportavano anche i carichi di pietra da lavorare. Altre volte si cercava sul luogo dove ci si accampava o durante il viaggio.

Bibliografia: Michael Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell’Italia del Rinascimento, Il Mulino 1983 | Hilary Mantel, Lo specchio e la luce, Fazi editore 2020

Immagine: Ruprecht Heller, La battaglia di Pavia, Nationalmuseum di Stoccolma

Mentre si spegneva il sorriso di Cangrande. L’Italia e l’Europa durante il colpo di stato dei Gonzaga

15 agosto 1328, Mantova. Già è notissima la battaglia tra Bonacolsi e Corradi e il colpo di stato avvenuto per mano di questi ultimi provenienti da Gonzaga. Da lì poi il nome della famiglia. Ma come era la situazione italiana ed europea in quella data? cosa stava succedendo mentre erano in gioco le sorti – scontate – della città attorno a piazza Sordello? Si possono dividere gli avvenimenti in poco prima, durante e poco dopo.

POCO PRIMA: Nel 1321 muore Dante, nel 1324 Marco Polo ormai tornato dal viaggio in Oriente nel 1295. Nel 1322 si forma una delle prime compagnie di ventura ovvero la Compagnia di Siena con cui si formulerà una nuova concezione della battaglia e delle milizie cittadine.

DURANTE: Cangrande della Scala è il signore di Verona. Obizzo III è il signore di Ferrara, anzi è marchese, titolo di cui può fregiarsi da tempo immemore (pare che gli Obertenghi siano marchesi dal 1011). Nel 1328 muore Galeazzo I Visconti. Galeazzo II Visconti è il nuovo signore di Milano.

POCO DOPO: Nel 1329 morirà Cangrande della Scala, probabilmente avvelenato. Nel 1337 inizia la guerra dei Cent’anni che continuerà a più riprese per ben 116 anni. Nel 1339 si scatena la seconda ondata di carestia del secolo. Nel 1348 inizia la devastazione della peste nera mentre Boccaccio inizia a scrivere il Decamerone.

 

Immagine: Statua equestre di Cangrande della Scala (Museo di Castelvecchio)

Una casa dal sapore veneziano e la prima insegna a tre dimensioni

La Casa del Mercante sottolinea il vanto del suo proprietario. Una casa con bottega proprio di fronte a tutti gli altri mercanti che condividevano l’ombra lunga del portico broletto. Sfacciato, pavone, vanitoso. E’ il prototipo della nuova casa mantovana di chi era in commercio o in affari. Bottega sotto e casa sopra. Non c’erano le vetrine di oggi e la merce veniva esposta su banchi che affacciavano direttamente sulla strada. Sull’architrave, sotto i portici, sono stati scolpiti i prodotti. Un’autentica insegna commerciale del passato. Osserviamo una solita mattina di lavoro del nostro Messere.

Storia 3 meraviglia

Il gatto che guardava il ghetto dall’alto

Camminare oggi nel Ghetto di Mantova significa entrare e uscire da confini invisibili a cui nessuno presta più attenzioni. All’interno di questo perimetro si mescolavano culture diverse come in un quartiere melting pot americano. Se a vedere questa mescolanza fosse stato un gatto? C’erano e si aggiravano in cerca di topi di grossa taglia o qualche avanzo lasciato su un piattino appositamente per loro. Il nostro gatto che ci presta lo sguardo ha vissuto prima dell’istituzione del Ghetto. Siamo nel 1472 e la Torre dell’Orologio è stata appena ultimata. Proprio qui in alto vive il nostro protagonista.

Post storie dallo scaffale

La piazza del potere. Dai Bonacolsi ai Gonzaga

Il passaggio da una famiglia all’altra avveniva spesso con il sangue. Le grandi Signorie si sono create prima di tutto sullo scontro. Piccole e grandi piazze, spazi verdi, campagne o strade infangate hanno accolto persone, soldati, schieramenti organizzati e liberi. Perché oltre alla spade volavano pugni e rombavano i primi cannoni che lo stesso Petrarca paragonava a tuoni sulla terra. Dai Bonacolsi ai Gonzaga cambia tutto. La data del 15 agosto 1328 è per Mantova un nuovo anno zero, un nuovo inizio che porterà dentro come un germe anche la sua fine. Così inizia lo scenario dei Gonzaga che salgono al potere sette anni dopo la morte di Dante.

Storia 1 Meraviglia