Guglielmo Gonzaga, la leggenda della parsimonia e un milione nel camerino ferrato

Guglielmo era molto morigerato mentre il figlio Vincenzo un gran spendaccione a tal punto da iniziare la crisi economica della famiglia. Quanto c’è di vero in questa frase usatissima?

Abbastanza da essere supportata da qualche numero. Beninteso è giusto dire che sono scarsi i dati relativi alla gestione della finanza pubblica al periodo di Guglielmo Gonzaga e questo non permette un’analisi numerica. Tuttavia alla morte del parsimonioso duca – non solo una frase fatta ma era vero – venne ritrovato nel “camerino ferrato di corte vecchia” un tesoro di poco meno di un milione di scudi d’oro.

Tanto? meglio dire tantissimo visto che corrispondeva alla quantità d’oro pari all’esportazione media annua della Spagna e delle Americhe nello stesso periodo.

Il calcolo, effettuato da De Maddalena, conferma la stima degli ambasciatori veneti per i quali Guglielmo proprio grazie alla sua buona amministrazione politica “lasciò al figliol un milione d’oro in contanti, 400.000 in crediti e 300.000 in grani da servirsene nelle occorrenti necessità”. Questo scriveva l’ambasciatore veneziano Francesco Morosini il 21 giugno 1608.

Bibliografia: Bibliografia: Storia di Mantova. L’eredità gonzaghesca secoli XII – XVIII, a cura di Marzio A. Romani, Tre Lune Edizioni 2005

Immagine: Ritratto di Gugliemo Gonzaga, prima del 1587

Le monete dei Gonzaga. Bolognini, aquilini e il santo Graal

La monetazione era affidata alla potestà del principe. Con i primi Capitani del Popolo venivano battuti i bolognini e gli aquilini. L’imperatore Enrico VI nel 1191 concesse a Bologna il privilegio di emettere un denaro che si chiamò bolognino. Successivamente venne chiamato piccolo quando iniziò la produzione di quello grosso che valeva come un soldo da 12 denari. Pesavi 1,41 grammi d’argento. Gli aquilini invece indicano, con nome generico, i denari e i grossi che portano l’aquila imperiale. Il periodo è quello svevo di Federico II. Verranno imitati in molte zecche dell’Italia settentrionale anche se inizialmente vengono prodotte solo a Merano dai conti del Tirolo.

A Mantova sarà Gianfrancesco che sostituì le precedenti monetazioni con il grosso d’argento in realtà non così differenti dalla tradizione medievale per aspetto, lega e peso. Era innovativo perché riportava sul recto lo stemma con le aquile inquartate – prima novità dal 1433 – e il nome del marchese – la seconda novità. Mentre sul verso la visione prospettica della città che racchiude al centro la raffigurazione della pisside.

Dopo l’apparato decorativo simbolico in Corte Vecchia con Pisanello, i Sacri Vasi fanno la loro presenza anche sulle monete. I Gonzaga si proclamano i protettori del Santo Graal e attivano il confronto – iconografico e tematico – con la leggendaria corte di Re Artù.

Bibliografia: Storia di Mantova. L’eredità gonzaghesca secoli XII – XVIII, a cura di Marzio A. Romani, Tre Lune Edizioni 2005

Immagine: Grosso da 4 denari. Genova, 1272

La lana a Mantova, una gestione famigliare

Prima dell’inizio del XV secolo manca un archivio delle corporazioni delle arti e questo impedisce di descrivere un quadro preciso di quanti folli, di quanta lana e di quali famiglie.

L’arte della lana dal 1389 era molto presente in città con circa 150 mercatores che facevano sgrassare più di 1.800 panni presso i due follatoi. Ma chi si occupava di tale gestione? I Gonzaga affidavano questo esercizio alla élite mercantile che si occupava anche di altri uffici quali la masseria, la tesoreria, la rettoria e la fattoria generale. Servivano competenze di amministrazione e di contabilità che queste famiglie avevano e altre no per una questione di tradizione che spesso si leggeva proprio nel cognome.

Le più in vista in questo settore erano i Brognoli, i Bosi, i Cappo, i Crema, i Pegorino, i Tosabezzi, i della Strada, i Folenghi e i Maloselli. Quest’ultimi si erano molto arricchiti nel commercio di tessuti, derrate alimentari, bestiame, vino e spezierie.

Nel 1425 Gianfrancesco Gonzaga stipula un contratto con Bartolomeo Folenghi. Gli mette a a disposizione 500 ducati da investire nel commercio dei panni di lana. Il contratto venne poi rinnovati nel 1430 e in quell’anno il Gonzaga affida altri 500 ducati a Luigi Tosabezzi – bessi significa soldi in dialetto – console dei mercanti, draperius, tesoriere e massaro del Comune.

Bibliografia: Storia di Mantova, a cura di Marzio Romani, Tre Lune edizioni 2005

Immagine: Repertorio, da Pixabay

Mattoni, folaghe e cipolle. Quatrelle e la dogana per Ferrara

Frazione di Felonica. Il nome forse gli deriva dalla folaga, uccello acquatico, ma è più nota per il tiròt, sottile schiacciata con le cipolle locali. L’abitato di Felonica si sviluppa grazie ai monaci benedettini che fondarono l’abbazia di Santa Maria Assunta legata alle vicende di Matilde di Canossa. La prima testimonianza scritta è relativa ad un documento notarile del 944.

C’è un punto in cui il territorio mantovano sfuma e diventa emiliano in direzione Ferrara. E infatti Quatrelle è l’avamposto ferrarese di Mantova. Dall’altra parte del Po c’è Ficarolo. Da sempre è zona di confine e ricopriva per questo il ruolo di dogana tra Gonzaga e Papato.

Il nome del paese sembra derivare da quello dei mattoni che venivano fabbricati in zona. Oppure, e si vede in parte ancora oggi, dalla ripartizione del territorio in quadri – le quadrelle – dati poi in pagamento a soldati mercenari all’epoca romana. 

La chiesa, intitolata alla Natività della Beata Vergine Maria, risale alla metà dell’Ottocento. Venne costruita come ex-voto per lo scampato pericolo del colera sui resti di una chiesetta medievale del XIV secolo. Di quella chiesa rimane il campanile originario, più basso della chiesa stessa.
Alla fine dell’anno 2019 si contavano 139 quatrellesi di cui 2 ultra novantenni e 5 minorenni. Sei sono le piccole imprese artigianali. Un piccolo mondo antico che si può visitare passando per Felonica.

Bibliografia: Arte, fede, storia. Le chiese di Mantova e provincia, Tre Lune edizioni 2004

Immagine: Chiesa di Quatrelle, Natività della Beata Vergine Maria (oggi in restauro dopo il sisma)