Bruges nel Quattrocento. Come il Paese di Cuccagna

La Venezia del Nord. Forse l’espressione sarà già sentita ma è perfetta per una città come Bruges. Qui troviamo all’opera diverse nazionalità di banchieri e commercianti che fanno affari, importano materie prime ed esportano manifatture di grande pregio.

Cosa faceva di Bruges una città sicura dal punto di vista commerciale? La garanzia di poter disporre di un nolo di ritorno, la certezza di poter piazzare la merce con grande facilità – soprattutto i manufatti di lusso – le agevolazioni fiscali, l’assenza di intermediazioni, le ottime condizioni dei porti, le ampie disponibilità di stoccaggio delle merci e le facilitazioni negli alloggi. Si può ben dire che Bruges rappresentasse una città ideale per i mercanti stranieri.

Che cosa transitava? L’elenco sarebbe sterminato. Sicuramente i prodotti baltici – ambra, grano, legno di Prussia, ferro e rame di Svezia – quelli russi come le pellicce, quelli del Mare del Nord – birra di Brema e Amburgo, il merluzzo di Norvegia – e i prodotti della costa atlantica come il sale di Bourgneuf, i vini guasconi e il ferro iberico. A Bruges erano presenti molti mercanti portoghesi che esportavano nelle Fiandre la frutta secca, sale, vino e il prezioso zucchero di Madeira. Baschi, catalani e castigliani commerciavano olio, lana merinos, il vino di Bourdeaux, seta, cotone e allume.

Questo era il traffico di mercanti e di prodotti lungo lo Zwin, il canale naturale che collegava Bruges al Mare del Nord e che poi arrivava fino al cuore della città ovvero la piazza della Borsa.

Bibliografia: Memling. Rinascimento fiammingo, a cura di Till-Holger Borchert, Skira 2015

Immagine: Bruges (fonte Pixabay)

La lana a Mantova, una gestione famigliare

Prima dell’inizio del XV secolo manca un archivio delle corporazioni delle arti e questo impedisce di descrivere un quadro preciso di quanti folli, di quanta lana e di quali famiglie.

L’arte della lana dal 1389 era molto presente in città con circa 150 mercatores che facevano sgrassare più di 1.800 panni presso i due follatoi. Ma chi si occupava di tale gestione? I Gonzaga affidavano questo esercizio alla élite mercantile che si occupava anche di altri uffici quali la masseria, la tesoreria, la rettoria e la fattoria generale. Servivano competenze di amministrazione e di contabilità che queste famiglie avevano e altre no per una questione di tradizione che spesso si leggeva proprio nel cognome.

Le più in vista in questo settore erano i Brognoli, i Bosi, i Cappo, i Crema, i Pegorino, i Tosabezzi, i della Strada, i Folenghi e i Maloselli. Quest’ultimi si erano molto arricchiti nel commercio di tessuti, derrate alimentari, bestiame, vino e spezierie.

Nel 1425 Gianfrancesco Gonzaga stipula un contratto con Bartolomeo Folenghi. Gli mette a a disposizione 500 ducati da investire nel commercio dei panni di lana. Il contratto venne poi rinnovati nel 1430 e in quell’anno il Gonzaga affida altri 500 ducati a Luigi Tosabezzi – bessi significa soldi in dialetto – console dei mercanti, draperius, tesoriere e massaro del Comune.

Bibliografia: Storia di Mantova, a cura di Marzio Romani, Tre Lune edizioni 2005

Immagine: Repertorio, da Pixabay

Marchese, mercante e militare. I tanti volti di Benedetto Sordi

La famiglia Sordi è documentata a Mantova a partire dalla seconda metà del Cinquecento. L’origine è meno certa, forse da Cremona, forse da Piacenza oppure da Sermide. Il capostipite del ramo mantovano fu Benedetto Sordi di Bartolomeo che morì a Mantova nel 1620. Poi venne il figlio Bartolomeo e il nipote Benedetto.

A vent’anni Benedetto viene inserito a corte dove svolge mansioni di guardarobiere al servizio del duca Carlo II Gonzaga Nevers. In realtà non passa tutto il suo tempo presso il Palazzo Ducale e infatti si interessa anche di affari. Amministra le proprietà fondiarie di famiglia nel commercio di cereali e sale. Nel 1664 il duca concede ai fratelli Benedetto e Vincenzo la carica di pesatori all’ingrosso e magazzinieri del sale, carica che era stata ricoperta dal padre Bartolomeo. A conferma del monopolio del sale tenuto dalla famiglia Sordi il 22 aprile 1676 Benedetto riceve dal nuovo duca Ferdinando Carlo la confirmazione della carica a vita. A questa si aggiungono quelle di maestro di Casa del duca e di sovrintendente alla scuderia ducale. Una serie di privilegi che è necessario sottolineare perché significava che nelle mani della famiglia Sordi c’era il monopolio del sale, l’amministrazione della residenza e dei cavalli dei Gonzaga. Un’estrema concessione di fiducia che continuava nel tempo.

Mentre Vincenzo si dedica più ai commerci Benedetto, abbiamo visto, è sempre più inserito nella corte fino a ricoprire il ruolo di alto dignitario. Nel 1671 il duca Ferdinando Carlo lo sceglie come suo aiutante di camera e nello stesso anno gli concede la curiosa licenza di portare gli archibugi lunghi da ruote in città. Infatti l’altro aspetto, che emerge solo ora, è l’attitudine alle armi e al comando. Il 22 settembre 1673 arriva per Benedetto l’ennesima concessione diventando il tenente capitano della Compagnia dei Mercanti di Mantova. Nel 1688 seguirà il duca nell’assedio di Belgrado. E in seguito farà del suo palazzo di via Pomponazzo un elogio alla sfarzo della famiglia ma soprattutto dei suoi valori militari.

Bibliografia: Civiltà mantovana, anno XLIX, n.137

Immagine: Busto di Benedetto Sordi, Palazzo Sordi

L’imprenditore Canossa. Dalla Zecca Regia ad Albergo Reale

Mantova, 28 marzo 1782. L’imperatore Giuseppe II autorizza la Camera arciducale a vendere al patrizio Carlo Canossa l’edificio della Regia Zecca  – non quella dei Gonzaga – situata nella contrada del Leopardo. Dal 1779 non era più in funzione. Viene così acquistato dal marchese di Canossa per realizzarvi un sogno: costruire l’albergo migliore della città. L’edificio di via Cavour, chiamato oggi Palazzo Barbetta, venne acquistato nel 1732 da Carlo VI padre di Maria Teresa che, con decreto del 5 gennaio dello stesso anno, autorizzava Mantova a battere moneta. Dall’inventario compilato il 27 agosto 1733 ne conosciamo la struttura. A piano terreno c’erano dodici camere con il torchio di bronzo per la battitura dei traeri e i taglioli per realizzare – tagliare – le monete grosse, la trafilla ovvero la fucina per fabbricare il conio, i macchinari per far bollire i ferri, i fornelli per i crogioli, i forbicioni per tagliare le lastre d’argento.

Il sogno imprenditoriale di Carlo Canossa comincia dagli acquisti. Oltre all’immobile della Zecca fa sue, nello stretto giro di anni, la casa Macchetta situata in vicolo Fieno, un’altra di proprietà delle monache francescane di Santa Maddalena e un’altra dei serviti di San Barnaba. Verranno trasformate in rimesse e scuderie dell’albergo. La struttura faceva inoltre servizio di posta e qui potevano essere ospitati fino a 40 cavalli.

L’insegna sul portone doveva essere scritta in diverse lingue proprio perché l’albergo era stato pensato soprattutto per i mercanti-viaggiatori-turisti che si recavano a Mantova per la Fiera in piazza dei Cannoni. Il servizio era di lusso come le argenterie: posate, piatti, rinfrescatori, guantiere, lampade. Il 6 maggio del 1785 il sogno di Carlo può avere inizio. Viene inaugurato quello che fu chiamato l’Albergo Reale almeno fino al 1821 quando chiuderà i battenti.

 

Immagine: Facciata di Palazzo Barbetta (via Cavour 13, Mantova)

Bibliografia: Ada Levi Segre, Cronache Mantovane Settecentesche

Buono e malo. Bastava chiedere all’orologio di Bartolomeo

Bartolomeo Manfredi ovvero l’uomo dell’orologio. Il suo nome compare nella cronaca dello Schivenoglia. “De dexembre 1473 foe posto lo reloio suxo lo torrione de cho de lo palazo de la raxone; poij de dij in dij se ge lavorava a farlo belo. Questo arloio lo fexe uno Bartholomeo de lo Rojo, zitadin de Mantoa et si era astrologo de lo marchexo de Mantoa”. Bartolomeo era discepolo di Vittorino da Feltre. Fu conosciuto con la qualifica de lo Rojo, un appellativo legato alla sua impresa che sostituisce il cognome reale.

La stampa del volumetto di Pietro Adamo de’ Micheli avviene nel 1473 grazie ai fratelli tedeschi Butzbach. L’editore mantovano consegna ai posteri un testo che descrive gli effetti e il funzionamento dell’orologio di Bartolomeo. Colpisce il suo preciso e accurato studio astronomico e astrologico visto che di professione era giurisperito. Anche se va ricordato che tra i letterati l’astrologia era una materia trasversale e che faceva parte di una buona cultura di base degli uomini del tempo.

Un mantovano di fine Quattrocento cosa poteva leggere nel quadrante dell’orologio? O meglio, quali domande poteva porre e quali risposte otteneva? Sì perché l’orologio si consultava come il nume tutelare della piazza, l’oracolo della città. Il cielo cambia, le stelle si mettono in congiunzioni che favoriscono o meno alcune attività Vediamo quali. Quando edificar case, vangare, comprare bestie, lana nera o grigia, drappi, seta e zucchero, vestirsi di nuovo, cavar sangue, pigliar medicine, andare al mercato, andare in battaglia, trattar le nozze, domandar giustizia, cominciar liti e questioni, comprare armi, fondere metalli, cominciar liti e questioni, sposare vergini, comprare le biade, prestar le cose, trattare cavalli, comprare libri, scrivere e mettere garzoni ad arte.

Alcuni esempi specifici (e magari provare a seguire). Nell’ora di Giove buono è edificare case, comprare seta e zucchero, domandare giustizia e cominciare un cammino a cavallo. Nell’ora di Marte buono è comprare armi, andare in battaglia, fondere metalli e campane, cominciare liti. Malo è andare al mercato e pigliar medicine. Nell’ora del Sole buono è comprare cose gialle o bianche, trattar di nozze e di pace, domandare debiti ed eleggere un nuovo rettore. Nell’ora di Venere buono è ballare, comprare lana, lino e lenzuoli, pigliar medicine. Malo è andare in battaglia. Nell’ora di Mercurio buono è comprare libri, mettere garzoni ad arte, comprare cavalli rossi, galline, oche, pesci. Nell’ora della Luna buono è comprare mele, zucchine, olio, fichi, noci, mandorle, castagne, nocciole, lana tinta, legumi, formaggio e carni salate. Malo è seminare, menar moglie, andar con donne, dar fuoco e prestar cosa alcuna.

 

Immagine: Ostensorio o quadrante dell’orologio pubblico di Mantova, 1706. Della Dichiarazione del’Horologio di Mantova 

Bibliografia: Luigi Pescasio, Mantova la civiltà del Quattrocento, Editoriale Padus Mantova 1982 

“Mantova è come le oche”. Parola di von Aldringen

Nonostante alcune vendite già effettuate da Vincenzo II Gonzaga, il ducato di Mantova doveva presentarsi al punto più alto raggiunto. Come spesso accade coincide anche con l’inizio della caduta. Il patrimonio delle collezioni del Palazzo Ducale, i tesori custoditi nelle chiese, conventi e monasteri, le reliquie, le raccolte di libri, arazzi e mobili, le sinagoghe, il Monte di Pietà e i palazzi delle maggiori famiglie della città. Niente venne risparmiato. Le piazze si trasformarono in mercati a cielo aperto dove le opere d’arte provenienti dai palazzi svuotati venivano esposte, vendute, scartate, bruciate, storpiate come una merce qualsiasi. Era la situazione ideale per mercanti e rigattieri, magari quelli più navigati. Dai cronisti del tempo si registra l’interesse da parte delle città. “A Cremona ogni giorno si vedeva gente a piedi e a cavallo andare avanti e indietro da Mantova con carrozze, cavalli, carri di merci e altre cose rapite nel sacco della città”. Nell’aprile del 1631 giungono a Cremona 17 casse di spoliazioni mantovane “con due carrozze di sei cavalli l’una, tutti cariche di robe bellissime e di gran valore. Così si riporta nel Diario delle cose accadute in Cremona 1625-1670, scritto da Giuseppe Bressiani. Così la stessa situazione può essere spostata per le città di Brescia e Verona.

Così diceva John von Aldringen: “Mantova è come le oche: più si pelano, più fine ed abbondante riproducono la piuma”. Le ricchezze erano tante e tanto sono rimaste al servizio dell’esercito imperiale. Più di un anno. Il condottiero morì nel 1634, tre anni dopo la fine del Sacco di Mantova, colpito a cavallo durante la battaglia di Landshut contro gli Svedesi. Morì in ritirata a 46 anni. Fu sepolto nella chiesa del Monastero di Prull.

Immagine: Ritratto di Aldringen 1670 pubblicato sul Theatrum Europaeum. Si tratta di un giornale sulla storia delle terre di lingua tedesca diretto da Matthaus Merian pubblicato tra il 1633 e il 1738 in 21 volumi in quarto.

Bibliografia: Sandro Sarzi Amadè, Johann-Graf von Aldringen il brutale e crudele flagello di Mantova, in La Reggia, anno XXIX, n.2 (112), giugno 2020

Le botteghe del Cortile dei Cannoni. L’esaltante merce da tutta Europa

Mantova, 17 maggio 1779. Viene inaugurata la Fiera che si tiene presso il Cortile dei Cannoni, in seguito chiamata Piazza Castello. Sono presenti l’arciduca governatore Ferdinando Carlo, figlio di Maria Teresa, e la principessa Beatrice d’Este sua consorte. La piazza va immaginata straripante di festoni verdi, bandiere, stendardi, colori e fiori. Il primo anno la Fiera si svolge solo in questa piazza e le botteghe degli artigiani si trovano al di sotto del porticato creato due secoli prima da Facciotto. Qui sono state ricavate tutta una serie di botteghe che vendono diverse tipologie di merce: articoli di moda, i libri, gli oggetti preziosi, quadri, orologi e altre suppellettili.

Dalle cronache della Gazzetta si conosce la provenienza dei mercanti italiani ed esteri: Lombardia, Repubblica di Venezia, ducati di Parma e Modena, Stato Pontificio, granducato di Toscana, Parigi, Ginevra, Bolzano, Presburgo e Breslavia.

Si potevano ammirare i merletti neri di Burano, i leggerissimi pizzi di Bruxelles, gli abiti di broccato chiamati andrenne, le stoffe milanesi e mantovane. I negozianti di moda esponevano come richiamo una bambola di grandi dimensioni – la Puopée de France – rivestita con le fogge più alla moda con pettinatura a toupé. E poi ancora cuffie, cappelli con fiori e nastri, guanti di velluto e pelle per l’inverno, calzature con alti tacchi rossi, ventagli, pomate, polveri di gelsomino e di Cipro, belletti, acque nanfe, farmaci. Gioielli, tabacchiere smaltate, spilloni con smeraldi e ametista, libri rari, atlanti e oggetti intarsiati in legno. Non mancavano anche i nuovi aggiornamenti tecnici come la macchina per arrotare con tre mole, per macinare il grano e per macinare il lino; facevano inoltre bella mostra le famose pendole di Ginevra oltre alle ceramiche di Faenza, Pesaro, Urbino e quelle fiorite di Sassonia.

Ultima nota di colore e a margine. Sotto i portici si facevano continue lotterie, non mancavano le botteghe del caffè, dei sorbetti, acque sciroppate, il tè e la cioccolata calda da bere. Continuava la moda austriaca.

 

Immagine: La nuova fiera di Mantova, Luigi Campovecchio e Ambrosio Orio – incisione. Archivio fotografico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici delle Province di Mantova, Brescia e Cremona.

Bibliografia: Ada Levi Segre, Cronache mantovane settecentesche | Giulio Girondi, La Fiera di Mantova, in Civiltà Mantovana, 126, anno XLIII, autunno 2008

Il Malcantone. La storia di una serie di botteghe all’angolo della strada

Mantova, anno 1160. Il monastero di Sant’Andrea si è ormai affermato e nel frattempo i monaci benedettini hanno fatto realizzare attorno al perimetro su piazza Broletto una serie di botteghe in legno ovvero i futuri portici. Gli obiettivi sono due: attirare i commercianti per attivare quell’area della città (non ancora civitas nova) e trarne profitto. Il primo documento che riguarda l’investitura ad affitto di una delle botteghe riguarda un certo Guiscardo caligario. Si è quasi sicuri che la struttura non ha avuto passaggi precedenti e risulta quindi appena costruita tanto che si obbliga Guiscardo a “cuvare” ovvero coprire la bottega con le tegole.

Ma l’area che più interessa e di cui si hanno più notizie è il cosiddetto Malcantone ovvero le botteghe ad angolo tra le attuali piazza Erbe e piazza Mantegna. Il nome denota certamente l’area non virtuosa. Nel 1170 qui doveva essere presente e attiva una bottega. Nel 1171 risulta proprietaria la famiglia Gaffari che a sua volta, nella figura di Ottone e Giudeo, la cedono a Tignosello, poi a Trainello e infine nel 1199 alla nota famiglia Poltroni. Si registrano inoltre una macelleria di un certo Giacomino di Antelmo e quella di un maniscalco soprannominato Ferra Asino. Seguono quelle di Corrado dei Bussi, Pallia Hospitator e Girardo Battitore. Un altro edificio era di proprietà della nota famiglia Avvocati. Queste botteghe, tutte vicine, vengono ricomprate dal Monastero e vendute alla famiglia della Strada nel 1293 di cui il cronista Andrea Schivenoglia conferma essere “ab antiquo speciali in Mantova, sul canton di S. Andrea”. Duecento anni dopo si registra un altro passaggio, questa volta ad Antonio e Luigi Groppelli che nel 1488 risultano già iscritti nel Registro dei Paratici degli Speziali di Mantova come “speciali alla Cervetta”, il simbolo che poi li renderà famosi e per cui ancora si racconta il capitello rimasto.

Immagine: La Cervetta, anno 1910 

Bibliografia: Ercolano Marani, Vie e piazze di Mantova. Analisi di un centro storico, Il Bulino edizioni d’Arte 2015 – Andrea Schivenoglia, Cronaca di Mantova dal 1445 al 1484

Barba e capelli, sangue e denti. Lo strano lavoro dei barbieri

Bugoli, fazzuoli, concerti e buschieri, cavezzi, glimpe, maspilli, tremoli e lenze, fruscoli e vespai. Questo lessico era utilizzato dai barbieri che esercitavano la professione e che servivano i loro clienti più esigenti. Già nel XII secolo i barbieri italiani esercitavo in una bottega mentre i colleghi francesi svolgevano l’attività in strada e in piazza. Oltre ai capelli e alla barba si univa l’arte del “cavar sangue”, tanto è vero che sulla porta pendeva l’insegna raffigurante un braccio nudo con un fiotto di sangue. In realtà svolgevano altre attività come racconta Tommaso Garzoni: “servono per cavar sangue agli ammalati et per mettergli le ventose, far le stoppate, cavare i denti guasti et simili altre cose, onde l’arte loro è subalternata per questo alla scienza della medicina”. Due numeri che inquadrano bene il successo della professione: a Venezia sul finire del Settecento si registrano 1500 parrucchieri.

A Mantova la Corporazione nasce nel 1679 e aveva il suo altare presso la Chiesa di Santa Maria della Carità. La pala raffigura i santi Cosma e Damiano. La tassa di iscrizione al Paratico era di 18 lire. Prima di entrare a farne parte era necessario superare una prova di abilità stabilita in: cernita di capelli, arricciamento e realizzazione di una parrucca. Gli iscritti dovevano partecipare alla processione votiva alla Chiesa della Vittoria. Chi non aderiva era costretto a pagare un’ammenda di 10 scudi al Massaro. Uno come Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, raffigurato sempre con vistose e vaporose acconciature, avrà sicuramente usufruito dei servigi dei barbieri mantovani.

Alla fine del Seicento si registrano 62 barbieri. Un numero esiguo se lo rapportiamo ai 40 parrucchieri di cui disponeva Luigi XIV che disegnavano le sue acconciature. Inizialmente infatti di pertinenza maschile e poi estese e diffuse anche alle donne. Non bianche ma di colorazione di rosa, blu e viola.

 

Bibliografia: Rita Castagna, Mercanti ed artigiani nella Mantova dei Gonzaga, 1980

Immagine: Ritratto del duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga, Hyacinthe Rigaud 1706 (Marble House)

Il maiale medievale di Sant’Antonio. Quando il 17 gennaio per i mercanti era una scadenza

Sant’Antonio, considerato il primo degli abati, visse i suoi ultimi giorni nel deserto della Tebaide pregando, coltivando un piccolo orto. Qui morì all’età di 105 anni. La sua figura è avvolta da molte tradizioni religiose e popolari legate al 17 gennaio. Feste, riti, usanze, proverbi, preparazioni, ricette e processioni. Il suo nome è stato dato ad una malattia virale della cute, l’herpes zoster, è già il suo culto taumaturgico si sviluppa in Francia nel XII secolo e veniva invocato il nome del santo da cui Fuoco di Sant’Antonio. Certamente legato poi alle famose tentazioni. Protettore dei salumai, norcini, macellai e canestrai.

Nel passato medievale invece si trattava di un giorno che ricordava una scadenza importante. Infatti entro tale data i mercanti dovevano presentare la loro richiesta di iscrizione all’albo professionale della categoria. In pratica si trattava di una immatricolazione che avveniva alla presenza dei Consoli, del Consiglio e anche di tutti i mercanti già appartenenti all’Università. Oltre a questo evento formale era seguito poi il versamento della tassa di iscrizione di 2 lire e mezza. Considerato il protettore degli animali domestici il santo è spesso raffigurato accanto ad un maiale, tanto da farne uno dei simboli iconografici. E’ in questo giorno in cui si benedicono gli animali e le stalle. Questa usanza nasce proprio nel Medioevo in Germania quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale per farne dono all’ospedale dove prestavano servizio i monaci di Sant’Antonio. L’ordine degli Antoniani nasce dalla volontà di un nobile che, guarito il figlio dal fuoco di Sant’Antonio, decise di costruire un hospitium e fondare una confraternita proprio per l’assistenza dei malati e dei pellegrini. L’ordine verrà confermato nel 1218.

Bibliografia: Rita Castagna, Mercanti ed artigiani nella Mantova dei Gonzaga, 1980

Immagine: Madonna tra i santi Abate e Giorgio, Pisanello 1445 (National Gallery)