Mantova, 19 marzo 1600. Questa la data del verbale con le accuse mosse contro Judith Franchetta e stilato dal notaio Cassiano Ratti. Giudicata come strega, eretica, ebrea e punibile con il rogo. Nello stesso si nomina la commissione che si occuperà del processo. Ci offre uno spaccato dalla giustizia del tempo a Mantova. Alessandro Donesmondi, presidente del Senato Ducale; Carlo Bardeloni, avvocato; Ascanio Rasi Capitano di Giustizia. La tortura a cui viene sottoposta Judith dà gli esiti sperati per la commissione ovvero la confessione. Josef Finzio e Jacob da Fano, suoi aiutanti, vengono scagionati dalla stessa Judith. La corte dei signori è in affaccio per vedere lo “spettacolo”. In piazza San Pietro ci sono oltre 12.000 persone. Lo svolgersi dell’esecuzione viene debitamente raccontato nella “Cronaca Mantovana dal 1561 al 1602” di Giovanni Battista Vigilio intitolata “la Insalata” nel capitolo 115.
Per quanto ho inteso, alli 22 d’aprille 1600, in sabato la mattina, circa l’hore 15 1/2, su la piazza del Domo di Mantova fu abbruciata viva la Iovadith Franchetta, hebrea d’anni 77 incirca, per esser stata striga over per haver magliato molte et diverse persone in vitta sua et specialmente una monacha dell’ordine della chiesa di san Vincenzo in Mantova, la quale di già era hebrea et poi fatta christiana entrata nella detta religione. Fatta la professione se ritrovò inspiritata et per gratia di nostro signor Ihesu Christo poi liberata. Al qual spettacolo vi furno presenti il detto serenissimo signor nostro, madama Elleonora sua moglie, la serenissima Margarita duchessa di Ferrara et la serenissima arciduchessa d’Austria Anna Catherina, sue sorelle, venuta d’Ispruch come di sopra, et tutti gli figliuoli, accomodati sopra li poggi et finestre del pallazzo di Corte Vecchia, et tanta quantità et moltitudine de persone che tutta la detta piazza era talmente piena che non vi si poteva volgere, onde fu giudicato non vi esser manco de dieci et anco dodeci milla persone. La qual Iovadith hebrea, legata con molte funi in piedi ad una collona di legno, sopra una gran quantità de legne, alle quali doppo l’essergli datto il fuogo di trei hebrei che la confortavano, duoi se ne fugir[no] et il terzo, qual era vecchio et tanto intento al suo officio, f[u] / quasi per restar con essa lei nelle fiamme (sì come saria), quando dalli altri duoi non fosse stato tirrato al basso, nel qual mentre si abbruciò la fune con la quale haveva legato le mani, et con la man destra si faceva diffesa dal fogo alla faccia, soffiando anco con la bocca, ma poco gli valse perché incontinenti se ne caddi nelle fiamme et così finì la sua vitta.
Bibliografia: Giovanni Battista Vigilio, La Insalata. Cronaca mantovana dal 1561 al 1602, a cura di Daniela Ferrari e Cesare Mozzarelli, Arcari Editore 1992
Immagine: Fredegonda fa giustiziare Ennio Mummolo e alcune donne accusandole di stregoneria per aver avvelenato il figlio Teodorico – miniatura dalle “Chroniques de France ou de Saint-Denis”, 1332-1350