L’evoluzione di Cosmè Tura. Andare oltre Mantegna

Un’evoluzione nel percorso di Tura. Il Sant’Antonio da Padova, conservato presso la Galleria Estense di Modena, rappresenta una novità rispetto alle sue opere precedenti. Le fonti lo indicavano nel Settecento nella chiesa ferrarese di San Nicolò, nella cappella dedicata a San Giacomo della Marca. Poi transitò nelle collezioni Sacchetti, Costabili e Santini. Solo dopo il 1905 passerà alla Galleria Estense.

L’immagine del Santo appare molto diversa rispetto al Cosmè Tura più noto. Una possente monumentalità, l’espressionismo marcato che rimane, il rilievo scultoreo delle pieghe, il realismo del disegno anatomico e addirittura l’affiorare delle vene e delle sfumature della pelle, il tratto del colore più fluido e dato per velature. Il linguaggio algido, petroso, ferrigno e smaltato delle precedenti opere, più vicine al Mantegna padovano, diventa qui più morbido e tenero. Si tratta di un’opera posteriore al Polittico Roverella – oggi disperso – e databile tra il 1470 e il 1474.

Così scrive il critico Baruffaldi: “con tutto l’animo cominciò ad aggiungere ai suoi lavori il buon colorito, ed un impasto morbido, ma liscio talmente che le sue figure sembrano di pastello o di smalto o imbrunite”. Così si può dare il Santo almeno dalla seconda metà degli anni settanta se non addirittura verso la metà del Quattrocento. Sicuramente è terminata nel 1490 perché viene citata nella supplica che il pittore scrive ad Ercole I d’Este per sollecitare il pagamento di lavori già conclusi alla metà degli anni ottanta.

Bibliografia: Monima Molteni, Cosmè Tura, Federico Motta Editore 1999

Immagine: Sant’Antonio da Padova, 1484-1490 (Galleria Estense di Modena)

Il Palazzo Ducale di Modena. Un dialogo tra Versailles, Colorno e Mantova

Ebbene sì, anche Modena ha il suo Palazzo Ducale. La residenza è stata la sede degli estensi quando vennero cacciati da Ferrara dopo la devoluzione al Papa. Perché tanto stupore? Perché non si trova nel cuore del centro storico ma occorre uscire dalla Via Emilia.

L’attuale palazzo si trova infatti sull’area un tempo occupata dal castello fatto costruire nel 1291 da Obizzo d’Este, marchese di Ferrara, e poi ricostruito mezzo secolo più tardi. Proprio qui confluivano i vari canali modenesi che si univano nel fossato della fortezza e ne uscivano uniti dal retro, lungo l’attuale viale Vittorio Emanuele II. 

Modena nel 1598 divenne la capitale del ducato estense e il duca Cesare d’Este si sistemò nel vecchio castello medievale che però era considerato non adatto alle esigenze di una corte come quella estense. Spetterà al nipote Francesco I d’Este fece realizzare un nuovo palazzo a partire dal 1634 su progetto dell’architetto Bartolomeo Avanzini. Rimane corte estense fino all’ultimo duca Francesco V d’Asburgo-Este (1859).

Dopo l’esilio degli Estensi e l’annessione dell’ex ducato al Piemonte, il Palazzo subisce un altro passaggio. Questa volta tocca alla Casa Reale dei Savoia. Il re Vittorio Emanuele II nel 1860 lo concede in dono alla Scuola Militare di Fanteria. Dal 1947 è la sede dell’Accademia Militare.

Una struttura e una storia che assomigliano alla Reggia di Colorno. Prima Castello con funzione miliare e difensiva, poi dimora signorile e infine nuova trasformazione con Ranuccio Farnese nel 1612. La facciata è solidissima e armoniosa, caratterizzata dai due torrioni laterali e da quello centrale di poco più elevato. La parte centrale è composta da cinque ordini di colonne sovrapposti. L’orologio viene istallato nel 1757 in linea con le nuove mode francesi.

Difficile esprimere sempre l’unicum ma potrebbe essere il primo esempio – o forse uno dei primi – di palazzo barocco d’Europa. Prima di Versailles (1623) e prima della Favorita di Mantova, terminata nel 1624 ma iniziata almeno nel 1615. La contesa con la villa mantovana è ragguardevole perché questa era una villa-residenza con la possibilità di accogliere la corte dei Gonzaga – non estiva – e al tempo si presentava di più grandi dimensioni con una serie incredibile di giardini nella parte retrostante.

Bibliografia: C’era una volta il palazzo ducale di Modena, Edizioni Artestampa 2014

https://www.visitmodena.it/it/scopri-modena/arte-e-cultura/palazzi-storici-e-castelli/palazzo-ducale-accademia-militare

https://laguidadimodena.it/guida/palazzi-storici-modena/palazzo-ducale

Immagine: Palazzo Ducale di Modena

Guido Mazzoni tra l’Emilia e il Nord. La Madonna della Pappa e il linguaggio popolare

Del Modanino, così come viene soprannominato, sappiamo poco del suo apprendistato. Nato e morto a Modena, si può definire lo “scultore del popolo” perché in grado di raccontarlo – con la terracotta – nei suoi mestieri, nelle rughe e nei tratti talmente fisiognomici da sembrare maschere di cera. Siamo vent’anni dopo la nascita di Andrea Mantegna ed è un contemporaneo di Ercole de’ Roberti con cui condivide la grande ricerca dell’espressione.

Inizialmente lavora nel campo della produzione di maschere teatrali in cartapesta e di apparati decorativi per le feste pubbliche. La sua fortuna però arriva grazie al genere del Compianto sul Cristo morto, gruppi di statue policrome e a grandezza naturale che derivano dal filone nordico tedesco e fiammingo. Stile popolare, pathos e immediatezza espressiva.

Prima degli anni novanta realizza la cosiddetta Madonna della Pappa, il celebre presepio oggi esposto nella cripta del Duomo di Modena. Guardate bene il viso della fantesca, le guance si gonfiano per soffiare sulla ciotola calda.  

Il suo linguaggio lo si può definire popolare – in linea con i dipinti della contemporanea pittura ferrarese – che tuttavia non gli impedì di ricevere anche importanti riconoscimenti dall’alta nobiltà. Nel 1491 si trova a Napoli presso la corte aragonese di Ferdinando I per il quale realizzò un busto bronzeo oggi conservato al Museo di Capodimonte. Inoltre realizza un altro Compianto per la Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi.
Non mancano neppure le chiamate europee. Il Bambino che ride è da identificarsi probabilmente con Enrico VIII della Royal Collection. Mentre anche il re di Francia Carlo VIII, di passaggio a Napoli, riconosce il talento unico di Mazzoni a tal punto da volerlo portare a Parigi. E infatti nel 1498 è menzionato come paintre et enlumineur. Sempre n Francia lavorò con Fra Giocondo di Verona nel castello di Amboise guadagnando stima e ammirazione.

Dopo un breve ritorno in Italia, nel 1507 ritorna nuovamente in Francia al servizio questa volta di Luigi XII al Castello di Blois. Ritorna a Modena nel 1516 e morì due anni dopo.

Bibliografia: Adalgisa Lugli, Guido Mazzoni e la rinascita della terracotta nel Quattrocento, Allemandi, Torino, 1990 | Giorgio Bonsanti e Francesca Piccinini (a cura di), Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni, Antonio Begarelli: sculture del Rinascimento emiliano (Catalogo della Mostra tenuta a Modena nel 2009), Modena, Panini, 2009

Immagine: Madonna della Pappa, Duomo di Modena

La Bologna di Vitale. Il sangue, i Pepoli e l’inizio dei Visconti

7 marzo 1330. Il pittore Vitale riscuote il saldo per i lavori condotti nella cappella di Filippo Odofredi presso la Chiesa di San Francesco a Bologna. L’anno dopo risulta iscritto per la prima volta nella ‘venticinquina’ di porta Stiera ovvero gli uomini abili alle armi che appartengono alla parrocchia di S. Maria Maggiore. Pittore e abile alle armi. Così si potrebbe tracciare il ritratto di Vitale di Aimo de’ Cavalli o Vitale degli Equi. Di lui si hanno notizie certe e documentate dal 1330 al 1359, ovvero fino all’anno prima della morte. Anche la data di nascita rimane incerta anche se probabile vicina al 1310. La sua formazione è legata al cantiere bolognese di San Francesco anche se rimangono solo l’Ultima Cena e Santi attestati nel 1330 quando il pittore era poco più che ventenne.

La città di Bologna usciva dalle guerre sanguinose tra Geremei e Lambertazzi ovvero i locali guelfi e ghibellini. Nel 1274 vennero espulsi 12.000 esponenti dei secondi e fu la svolta guelfa per la città tanto che il governatore della città fu Bertoldo Orsini, nipote del Papa. Nel 1325 la battaglia di Zappolino con Modena produsse un calo del numero di abitanti e forse un cambiamento di segno politico. La corte papale si era trasferita ad Avignone e il nuovo governatore – altro nipote del Papa – era talmente malvisto dai bolognesi che venne cacciato. Nel 1334 così ha inizio la signoria locale di Taddeo Pepoli. Durò per 13 anni quando fu la volta dei Visconti. L’ultimo cambiamento politico che vide Vitale.

Si può ben dire che la tradizione pittorica emiliana risenta delle cruenti lotte politiche e dei dissidi tra le famiglie fatti di vendette, uccisioni e morti lungo le strade. Oltre a questo Vitale raccoglie il clima europeo della cultura gotica francese e il fermento culturale dello Studium. Così come uno spugna la sua arte – e quella delle generazioni successive – è imbevuta della vitalità, del crudo ed elegante realismo e delle miniature d’oltralpe. I suoi santi subiscono lo stesso processo giottesco ma decisamente più tendente al vero. Ormai quei corpi sono reali, umani, di carne e di ossa. Emblematico il caso della cosiddetta Madonna dei denti datata 1345. Giotto era morto da otto anni.

Bibliografia: Pittura bolognese del ‘300. Vitale da Bologna, Silvana Editoriale 1962

Immagine: San Giorgio e il drago, 1350 (Pinacoteca Nazionale di Bologna)

Rinaldo signore di Modena. La battaglia, la strategia e la secchia rubata

15 novembre 1325. Ai piedi del colle Zappolino, presso Bologna, avviene una delle battaglie dalla portata più importante del Medioevo con uno schieramento complessivo di 35.000 fanti e 5.000 cavalieri. I due fronti contrapposti parlano emiliano: Bologna contro Modena ovvero guelfi contro ghibellini. Da una parte Malatestino Malatesta e Fulcieri de Calboli, dall’altra Rinaldo Bonacolsi, Azzone Visconti e Rinaldo II d’Este.

Se Bologna vive un costante rafforzamento del proprio territorio, Modena invece ha a che fare con forti tumulti interni. Dopo la morte di Obizzo d’Este si era scatenata una accesa rivalità familiare. Azzo VIII ne rileva il potere ma che la troppa sete di prestigio lo costringe ad una immediata resa anche perché non supportato dalla nobiltà cittadina. Alla sua morte viene eletto signore di Modena proprio Rinaldo Bonacolsi.

Si trattava di una questione di confini, perimetri e appartenenze. Rinaldo, nelle vesti duplici di signore e di condottiero, era alleato con altre importanti famiglie ghibelline come i Visconti e gli Estensi, e si metta all’opera nella conquista dei castelli e delle rocche bolognesi. Dopo aver preso il castello di Monteveglio a quel punto mancava solo il castello di Zappolino, l’ultimo baluardo difensivo di Bologna.

Lo scontro avvenne verso il tramonto. La bilancia tra le parti era tutta dalla parte bolognese con i suoi 30.000 fanti e 2.500 cavalieri. Ma quelli modenesi guidati da Rinaldo erano tedeschi e già esperti nel campo militare. La battaglia fu molto breve, durò circa un paio d’ore e si concluse con una vera disfatta per l’esercito bolognese. Nonostante la superiorità numerica, le truppe bolognese vennero prese di sorpresa dall’attacco laterale – la novità rispetto all’attacco frontale di vecchio stampo – e si diedero alla fuga ritornando a Bologna. I morti furono circa 2.000.

E ora? Rinaldo assedia e conquista Bologna? Poteva essere il compimento di un’autentica impresa. Invece i modenesi non tentano nulla di simile. Si accontentarono di beffare i bolognesi organizzando delle giostre cavalleresche proprio sotto le mura della città. Dopo quattro giorni di palii se ne ritornarono a Modena con un trofeo alquanto bizzarro ovvero una secchia rubata da un pozzo.

Non è la parola fine. Perché nel gennaio 1326 le due parti si incontrarono per stringere accordi di pace. I modenesi restituirono i territori conquistati in cambio di denaro. La battaglia non valse nulla se non firmare nella storia medievale il primo scontro moderno.

Bibliografia: Michael Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell’Italia del Rinascimento, Il Mulino 1983

Immagini: La secchia rapita esposta all’interno della Torre della Ghirlandina

Rinaldo, il ghibellino. Breve ritratto di lotta e di governo

1 luglio 1299. Dopo essersi rifugiato a Verona Guido Bonacolsi scaccia, con l’aiuto di Alberto Della Scala, Bardellone e diventa signore di Mantova. Negli accordi veronesi si prevede il matrimonio di Rinaldo Bonacolsi e la nobile veronese Giglietta Nogarola, figlia di Zufredo e sorella di Bailardino il quale era marito di Caterina una sorella di Alberto Della Scala. Viene così sancita una relazione di sangue con gli Scaligeri. Rinaldo, con un atto del 13 novembre 1308, viene confermato vicario generale e cinque giorni dopo successore nella signoria dal consiglio generale di Mantova. Anche le basi del futuro della città erano state gettate.

Proseguendo la politica precedente delle alleanze Rinaldo nella primavera e nell’estate del 1309 rinnova quelle con con Verona, Parma, Modena, Brescia e Piacenza. Un anno dopo Enrico VII di Lussemburgo scende nell’Italia settentrionale con una delegazione per chiedere a Comuni e ai signori il giuramento di fedeltà. E ovviamente si mantiene il profilo ghibellino degli Scaligeri. Quando nel 1311 Enrico viene incoronato a Milano è presente in città una delegazione mantovana. Rinaldo nell’ottobre del 1310, insieme con Alboino Della Scala, avvia una guerra contro il Comune di Reggio, allo scopo di reintrodurvi la nobile famiglia dei Sesso e la loro fazione.

A Mantova assume le funzioni di vicario imperiale il fiorentino Lapo degli Uberti che era già stato podestà nel 1296 e nel 1299. Vengono così richiamati in città i fuorusciti ovvero i vecchi nemici dei Bonacolsi come i conti di Casaloldo, i Riva e i Gaffari, i figli di Tagino Bonacolsi, Sarraceno e Bertone cugini di Rinaldo, espulsi dallo zio Guido Bottesella quando aveva instaurato la sua signoria. I fuoriusciti, fedeli ai contrasti precedenti, non tardarono a confabulare contro i Bonacolsi e così con lo scoppio di nuovi tumulti vengono di nuovo espulsi dalla città. Insieme a loro, nel marzo 1311, fu cacciato anche il vicario Lapo degli Uberti. Rinaldo il 13 aprile 1311 assume la nomina a vita di podestà.

Il 24 agosto 1313 muore l’imperatore Enrico VII ma questo non indebolisce le forze ghibelline che anzi si strinsero sempre di più fra loro. L’11 settembre 1314 viene sancita una lega tra Rinaldo, il fratello Butirone, Cangrande Della Scala e Uguccione della Faggiuola signore di Pisa e Lucca. Rinaldo, forte dell’alleanza con Cangrande, nel 1315 riprese la lotta contro le vicine fazioni guelfe Parma e Cremona riunite temporaneamente sotto la signoria di Giberto da Correggio.

Francesco Pico della Mirandola, vicario imperiale di Modena e primo signore di Mirandola, nel 1321 viene arrestato con i figli. Rinaldo può così assediare poi il castello di Mirandola che viene espugnato e distrutto. I Pico vennero portati a Modena dove, denudati e legati al dorso di muli, vengono fatti passare in mezzo alla popolazione modenese e, secondo le cronache, vengono colpiti da pietre, forconi e calci come vendetta dei torti subiti. Poi vennero condotti e rinchiusi a morire di fame nelle celebre Torre della fame di Castel d’Ario.

Ne emerge un ritratto di Rinaldo di lotta e di governo, condottiero e politico, che prosegue le strategie familiari precedenti e tessendo relazioni ghibelline con gli Scaligeri e l’imperatore.

Bibliografia: Fonte Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/bonacolsi-rainaldo-detto-passerino_%28Dizionario-Biografico%29/

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Il Gioco di Diana praticato a Mirandola. Accuse, processi e roghi per stregoneria

Dal 1522 al 1525 la Signoria di Mirandola fu al centro dei processi di stregoneria. Alla fine di quell’ondata furono dieci le persone condannate, sette uomini e tre donne. L’epilogo scontato con il rogo ha luogo nella odierna Piazza della Costituente di fronte al Castello dei Pico.

Giovanni Francesco II Pico, signore di Mirandola, scrisse in seguito il Libro della strega o delle illusioni del demonio, considerato uno dei primi libri di questo tipo scritto in lingua volgare. Il periodo di aspri tumulti familiari tra i rami dei Pico si aggiunge all’assedio di Mirandola del 1502 contro Francesca Trivulzio e alla condanna del frate fiorentino Pietro Bernardino. Accusato di eresia e sodomia venne arso vivo perché il fondatore della setta cosiddetta “dei piagnoni” che lo avevano eletto come antipapa e accusato. La fine dell’assedio riporta al potere Giovanni Francesco II Pico che mette in atto una politica feroce e di soprusi per conservare il potere. Così gli accusati di stregoneria furono alcuni personaggi importanti del territorio di Concordia – dove era alloggiata Francesca Trivulzio – e gente molto conosciuta dalla popolazione del mirandolese e dintorni, fra cui molti sacerdoti. L’inquisizione inizia nel 1522 con l’arrivo da Faenza del frate dominicano Girolamo Armellini. Venne chiamato per indagare su alcune voci che riferivano di strani rituali notturni nei contadi attraversati dal fiume Secchia. In particolare si raccontava di pratiche di atti abominevoli tra cui il cosiddetto “Gioco di Diana”, che consisteva in scandalosi peccati di carne e gola oltre al disprezzo del Crocifisso e delle ostie consacrate.

I processi e gli interrogatori, condotti con la tortura, si svolsero nell’Oratorio della Madonna di via di mezzo. Il 22 agosto 1522 venne dato al rogo il primo accusatore, don Benedetto Berni. I processi – soprattutto con le accuse di magia e stregoneria – riprendono dagli anni sessanta e proseguono nel Seicento e nel Settecento quando Mirandola venne annessa al Ducato di Modena. Il tribunale dell’Inquisizione di Modena venne abolito il 6 settembre 1785 dal duca Ercole III d’Este.

Bibliografia: Paolo Golinelli, Mirandola 1507 nel racconto di un viaggiatore fiorentino, in Quaderni della Bassa Modenese, vol. 56, 2009 | Albano Biondi, Gianfrancesco Pico e la repressione della stregoneria. Qualche novità sui processi Mirandolesi del 1522-1523, in Mirandola e le terre del basso corso del Secchia dal Medioevo all’età contemporanea, vol. 1, Modena, Aedes muratoriana, 1984 | Giordano Berti, Storia della stregoneria, Mondadori 2019

Immagine: L’Oratorio della Madonna della Via di Mezzo, fotografia 1950

I ritratti della famiglia Pico. Storia di una galleria finita nel Palazzo Ducale

Mirandola 1716. Nel torrione del Castello della famiglia estense scoppia un tremendo incendio che danneggiò gran parte della struttura. Probabilmente lo scoppio fu dovuto ad un fulmine che cadde proprio nel deposito delle artiglierie custodito nel torrione. Il patrimonio dei duchi di Modena in pericolo di conservazione venne trasportato nella vicina Mantova, direzione Palazzo Ducale. Curioso come la scena di circa 80 anni prima si ribalti: tanti carri nel 1630 avevano lasciato la città dei Gonzaga carichi di opere d’arte mentre ora entrano con un considerevole “bottino”. Certo le premesse erano diverse e questa volta la guerra e l’azione di sopruso di un esercito non sono i fattori scatenanti. Sta di fatto che dipinti, marmi e arredi della famiglia Pico arrivano nella città allora governato dagli Asburgo da quasi nove anni. Un evento quanto mai tempestivo vista la situazione di degrado e di spoliazione recente subita dall’ex Palazzo Ducale.

La reggia della famiglia Pico tra ‘500 e ‘600 era una tra le più fastose della Pianura Padana. Si aggiunge inoltre nel 1617 il titolo di duchi e i conseguenti lavori di rinnovamento della struttura con la costruzione della Galleria Nuova e la commissione dei dipinti di Sante Peranda e Jacopo Palma il Giovane. Tra i dipinti che giunsero a Mantova – e che si possono ammirare ancora oggi – ricordo il ritratto di Alessandro I Pico (datato 1618), alle cui spalle si nota un tratto della Reggia di Mirandola, il ritratto di Laura d’Este moglie di Alessandro (dipinto datato 1611). Laura era la figlia secondogenita di Cesare d’Este e di Virginia de’ Medici che a 14 anni sposa Alessandro ma muore giovanissima, senza figli, nel 1630 a causa di problemi psichici e di epilessia. Al contrario della madre Virginia de’ Medici che di figli ne ha avuti addirittura nove.

Tipici dello straordinario tocco di Sante Peranda è l’incarnato, la posa del ritratto internazionale di tre quarti e la vibrazione leggera della luce che ravvivano le stoffe ed esibisce un broccato sontuoso. Di sicuro Peranda, da buon veneziano, non è rimasto indifferente ad uno sguardo a Frans Pourbus, attivo a Mantova in quegli anni e probabilmente a lui noto. Tra gli altri si ricordano anche i ritratti di Cesare d’Este – ovvero il padre di Laura d’Este – Giulia, Luigi e Alfonso d’Este, tutti fratelli di Laura.

Dove vedere questi ritratti? Nell’appartamento di Vincenzo I e quindi basta rallentare qualche minuto e osservare i dipinti nella Sala di Giuditta, del Labirinto e del Crogiuolo.

 

Immagine: Saccheggio di Mirandola, Giovanni Battista Menabue 1799 (la piazza di Mirandola e sulla sinistra il castello e le fortificazioni)

Bibliografia: Stefano L’Occaso, Museo di Palazzo Ducale di Mantova. Catalogo generale delle collezioni inventariate. Dipinti fino al XIX secolo, Publi Paolini 2011

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I resti del Palazzo Ducale di Mirandola, 1910

 

Avventure e disavventure dei Bonacolsi. Famiglia di politici, condottieri e mummie

Prima del 1164, anno imprecisato. La famiglia Bonacolsi si trova a Villa Garibaldi ovvero Carzédole così come veniva chiamata fino 1867 dal nome del carice, una tipica pianta palustre. Nel 1164 invece è attesta la loro presenza in città.

1168. Viene fondata la città di Alessandria in onore di Papa Alessandro III. Nello stesso anno Otolino de Bonacosa viene ricordato nei documenti come il primo Bonacolsi. Otobono, insieme al figlio Gandolfo, viveva in una casa merlata nel Quartiere di San Martino, contrada di Sant’Egidio. Gandolfo ricopre la carica di consul negaciorum nel 1191, procuratore del Comune nel 1193 e console del Comune nel 1200. L’inserimento politico in città è ormai avvenuto. Il figlio Martino nel 1231 viene investito di alcune terre appartenenti alla Chiesa di San Paolo all’interno della civitas vetus, a fianco della Cattedrale, e risiedeva in un palazzo compreso tra la perduta Chiesa di Santa Maria Mater Domini e il Fossato dei buoi. Due anni dopo è uno dei rectores Mantuae. Martino è il padre di Pinamonte che nel 1259 fu tra i consiglieri che ratificarono la pace con Verona dopo anni di lotta tra il conte Ludovico di San Bonifacio da Verona e il marchese Azzone d’Este per il dominio sul Comune mantovano. Secondo gli Annales Mantuani nel 1268 Pinamonte è a capo della fazione alleata con i conti Casaloldi che cacciò dalla città Roffino Zanicalli e la famiglia Gattari.

Bologna 1272. Muore Enzo di Svevia nel Palazzo Nuovo. A Mantova il 28 luglio Pinamonte e il conte di Federico di Marcaria, con l’appoggio del popolo e di altre famiglie tra cui i Gonzaga, cacciano dalla città il rappresentante del conte di San Bonifacio, il podestà Guido da Correggio e costringendo anche i conti di Casaloldo a ritirarsi nei loro feudi. Pinamonte e Federico prendono il governo della città con il titolo di rectores. Un anno dopo Federico verrà espulso e nel 1279 Pinamonte è ufficialmente il Capitano del Popolo.

1291. Tutti i vetrai di Venezia vengono costretti a trasferire la loro attività sull’isola di Murano e da Genova Ugolino e Vadino Ugolini salpano per raggiungere l’India senza fare più ritorno. Nello stesso anno a Mantova i Bonacolsi hanno il potere da 15 anni ma è in vista un cambiamento. Pinamonte ha già deciso che il suo successore sarà il figlio Tagino ma Bardellone allontana il padre, fa incarcerare i fratelli e si prende il titolo di Capitano del Popolo e rettore perpetuo. Nel 1293 muore Pinamonte. Dopo 8 anni di governo Bardellone viene cacciato dal nipote Guido detto Bottesella aiutato da Bartolomeo I della Scala. Bardellone morirà nel 1300 in esilio a Ferrara dopo aver fatto edificare la Magna Domus e avviando il nucleo antico del Palazzo Ducale. Guido era uno dei cinque figli di Zagnino o Giovannino detto Gambagrossa che ricoprì per due volte la carica di podestà di Verona. Guido nel 1308 si associa al potere con il fratello Rinaldo detto Passerino. Gli altri figli di Zagnino – e fratelli di Guido e Passerino – erano Samaritana, Berardo e Bonaventura detto Butirone.

Canarie 1312. Lanzerotto Malocello, mercante e navigatore della Repubblica di Genova, scopre l’isola più a nord delle Canarie e le dà il nome di Lanzarote. A Modena invece Rinaldo diventa il signore della città, carica che passerà nove anni più tardi al figlio Francesco. Nel 1325 Passerino si allea con le più potenti famiglie ghibelline, vince contro Bologna la battaglia di Zappolino. Sembra l’inizio di una espansione politica e territoriale destinato a durare a lungo. Invece nel 1328 arrivano i Corradi di Gonzaga e rovesciano il tavolo per quasi quattro secoli. Passerino muore il 16 agosto.

America 1625. Gli olandesi fondano New Amstardam. Passerino intanto è una mummia, esposto insieme ad altre curiosità nella Wunderkammer dei Gonzaga. Nato qualche anno dopo l’ultima crociata, si ritrova ad essere ancora visto – con orrore – quando il suo tempo è ormai trapassato e il mondo intorno a lui è tutto cambiato.

Bibliografia: S. Davari, Per la genealogia dei B., in Arch. St. lomb., 1901, S. Davari, Notizie storiche topografiche della città di Mantova, Adalberto Sartori Editore, Mantova 1975 | http://www.treccani.it/enciclopedia/pinamonte-bonacolsi_%28Dizionario-Biografico%29/ | La scienza a corte, Bulzoni editore, 1979

Immagine: Mappa di Gerusalemme 1170-1180 ovvero nel periodo in cui i Bonacolsi arrivano nella città di Mantova