L’evoluzione di Cosmè Tura. Andare oltre Mantegna

Un’evoluzione nel percorso di Tura. Il Sant’Antonio da Padova, conservato presso la Galleria Estense di Modena, rappresenta una novità rispetto alle sue opere precedenti. Le fonti lo indicavano nel Settecento nella chiesa ferrarese di San Nicolò, nella cappella dedicata a San Giacomo della Marca. Poi transitò nelle collezioni Sacchetti, Costabili e Santini. Solo dopo il 1905 passerà alla Galleria Estense.

L’immagine del Santo appare molto diversa rispetto al Cosmè Tura più noto. Una possente monumentalità, l’espressionismo marcato che rimane, il rilievo scultoreo delle pieghe, il realismo del disegno anatomico e addirittura l’affiorare delle vene e delle sfumature della pelle, il tratto del colore più fluido e dato per velature. Il linguaggio algido, petroso, ferrigno e smaltato delle precedenti opere, più vicine al Mantegna padovano, diventa qui più morbido e tenero. Si tratta di un’opera posteriore al Polittico Roverella – oggi disperso – e databile tra il 1470 e il 1474.

Così scrive il critico Baruffaldi: “con tutto l’animo cominciò ad aggiungere ai suoi lavori il buon colorito, ed un impasto morbido, ma liscio talmente che le sue figure sembrano di pastello o di smalto o imbrunite”. Così si può dare il Santo almeno dalla seconda metà degli anni settanta se non addirittura verso la metà del Quattrocento. Sicuramente è terminata nel 1490 perché viene citata nella supplica che il pittore scrive ad Ercole I d’Este per sollecitare il pagamento di lavori già conclusi alla metà degli anni ottanta.

Bibliografia: Monima Molteni, Cosmè Tura, Federico Motta Editore 1999

Immagine: Sant’Antonio da Padova, 1484-1490 (Galleria Estense di Modena)