La Cittadella di Casale. Il baluardo, gli ingegneri sfortunati e i fuochi d’artificio

Casale, 26 maggio 1590. Va in atto la cerimonia di fondazione del cantiere della Cittadella. Partecipa con grande soddisfazione anche il duca Vincenzo I Gonzaga che foraggerà dal punto di vista economico l’impresa costruttiva. Casale è di sua proprietà, l’ha ereditata dal padre. Il duca di Mantova aveva chiesto e ascoltato le relazioni disastrose dell’ingegnere Giovanni Francesco Baronino. I territori non erano fortificati abbastanza. C’era bisogno di un unico baluardo difensivo in grandi di dare protezione a tutto il ducato di Monferrato.

Così si spiega la chiamata e l’inizio dei lavori dell’architetto Germanico Savorgnan, al servizio dei Gonzaga da due anni. La Cittadella avrà una pianta esagonale, un bastione ad ogni angolo e un sistema viario che converge al centro in una piazza rotonda. Viene edificata al di fuori della cinta fortificata, verso il lato sud-est. Una volta terminata ci sarà un impiego di 2.000 uomini per la difesa e un presidio stabile di 2.000 per una estensione di 35 ettari.

Dentro Savorgnan progetta anche la costruzione di sedici edifici: il palazzo del Governatore, il palazzo della Balena vecchia, la casa dei bombardieri, la falegnameria, la munizione della farina, dei pozzi e delle polveri, forni e mulini.

Il cantiere si apre il 1 giugno 1590. Savorgnan non è solo ma si avvale della presenza del casalese Bernardino Facciotto. Nel luglio 1595 il cantiere è a buon punto. Due mesi prima l’ingegnere segue Vincenzo nella campagna d’Ungheria. Non tornerà a Casale, muore a Vienna di peste nel 1597. Un anno dopo la peste incombe anche in città e l’erario ducale si trova in grave difficoltà economica. Vincenzo chiede prestiti a tutti, anche all’imperatore. Gli anni che seguono sono una girandola di nomi di architetti e ingegneri. Muoiono tutti prima della conclusione dei lavori. Nel 1607 è la volta di Gabriele Bertazzolo. In realtà si occuperà di preparare macchine per i fuochi d’artificio, i trionfi e le feste che i Gonzaga organizzano a Casale.

Bibliografia: Costruire, abitare, pensare. Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga, a cura di Paolo Bertelli, Universitas Studiorum 2017

Immagine: Mappa della Cittadella di Casale Monferrato, XVII secolo

Dentro l’appartamento di Vincenzo I Gonzaga con i nomi di tre secoli fa

Mantova, 1 dicembre 1714. Carlo Bertazzone, soprintendente alla Scalcheria, inizia la compilazione di un inventario su ordine del Maestro Arciducale. L’inventario delle stanze del Palazzo Ducale di questo anno risulta un documento prezioso perché conserva memoria di un passaggio di consegna che ha lasciato ferite e perdite. Ovvero l’ultimo anno dei Gonzaga-Nevers e l’annessione al governo austriaco e riallaccio molti fatti avvenuti in uno stretto giri di anni. La fuga di Ferdinando Carlo, la sua morte il 5 luglio 1708, il primo rappresentante ovvero il conte Gian Battista di Castelbarco. Il suo periodo mantovano dura poco. Nel 1713 muore.

Sorprende soprattutto il cambiamento dei nomi che oggi purtroppo non riusciamo a cogliere. Gli spazi oggi noti come l’Appartamento Ducale nel 1714 erano noti sotto la denominazione di “appartamento del Prencipe Padrone”. In realtà già nel 1708 era citato come ducale. La sala d’ingresso è detta dei Cavalleggeri che dalla metà del Settecento diventa invece degli Arcieri. Segue la Sala degli Staffieri già chiamata così nell’inventario precedente del 1665 e ora detta di Giuditta per la serie del pittore Pietro Mango. Ci si sposta poi nella Sala degli Uscieri e oggi detta del Labirinto così come veniva chiamata già nel 1614. Anche qui erano presenti i cuoi dipinti e dorati di Pietro Mango. La sala adiacente, denominata dell’Udienza, corrisponde all’attuale del Crogiolo. Qui, stando a quanto riportato dall’inventario del 1665, erano presenti undici dipinti tra cui le sette Storie del Mondo del pittore Pietro Martire Neri. Si continua con la Camera degli Aiutanti di camera oggi chiamata stanza di Amore e Psiche. Poi il percorso prosegue sulla destra con un passetto e il camerino detto degli Scopatori e una scaletta che permetteva di accedere al piano superiore. Accanto la Cappella in cui sull’altare era posizionato il Crocefisso con san Longino e santa Maddalena. Tutto in uno spazio stretto: una prima camera di ritiro detta di Leda, una seconda camera di ritiro, detta Stufetta, con caminetto, due finestre e una porta verso la cappellina. La Stufetta era collegata con un piccolo ambiente chiamato nell’inventario “camerino del tesoro” con le pareti rivestite di tavole di rovere.

Tornando indietro la Galleria degli Specchi era chiamata “gran galleria detta dei Quadri” e si limita a contare finestre e porte. Il corridoio dei Mori veniva semplicemente indicato come corridore.  

Immagine: Pianta del palazzo ducale, 1914 

Bibliografia: Dai Gonzaga agli Asburgo. L’inventario del 1714 di Palazzo Ducale, Edizioni Speroniane 2008

Ogni venere di sera. Monteverdi e gli spazi musicali di Palazzo Ducale

15 settembre 1590, Roma. Al soglio papale viene eletto Giovanni Battista Castagna con il nome di Urbano VII. Dopo tre giorni si ammala di malaria. Resiste per altri 10 giorni. Il 27 settembre muore. Gli succede Gregorio XIV.

Nello stesso anno arriva a Mantova un nuovo suonatore di viola e assunto anche con la funzione di cantore. È il cremonese Claudio Monteverdi. Al servizio di Vincenzo I lo troviamo nel 1595 in Ungheria e quattro anni dopo nelle Fiandre. Nel settembre del 1599 Vincenzo farà tappa anche a Bruxelles dove ingaggerà il pittore Frans Pourbus. Nel 1601 Monteverdi diventa “maestro e de la Camera e de la Chiesa sopra la musica”. Ha dovuto attendere la morte di ben quattro predecessori tra cui Giaches Wert e Alessandro Striggio junior. La data che farà la differenza nella sua carriera – forse non tanto in vita ma sicuramente dopo – fu la il 24 febbraio 1607 quando si tenne la prima rappresentazione della Favola di Orfeo. Due giorni prima si era tenuta invece nell’Accademia degli Invaghiti. Il 14 marzo 1608 nella sala detta de’ specchi – in realtà è la Sala dello Specchio – si è tenuta invece la prova di Arianna in cui si conoscerà la voce portentosa di Virginia Andreini che stava sostituendo Caterina Martinelli appena morta di vaiolo. Lo spettacolo, dopo due mesi di prove, avrà luogo il 28 maggio in occasione dei festeggiamenti della nuova coppia ducale Francesco IV Gonzaga e Margherita di Savoia. Per la prima volta si esce dal chiuso delle adunanze degli intenditori e si offriva lo spettacolo anche al grande pubblico. Per l’occasione viene allestito lo spazio del cortile della Cavallerizza.

CLAUDIO IN PALAZZO. La musica era ovunque a Palazzo ma gli spazi essenziali pensati con questa funzione erano la Sala dello Specchio – che verrà confusa con il Logion serato chiamato nel 1779 Galleria degli specchi – dove “ogni venere di sera si fa musica”, la Sala degli Arcieri ovvero “il salon dove si balla” e ovviamente il Teatro Grande di corte. Durante le feste del 1608 qui ebbero luogo Manto, L’idropica e il Ballo delle Ingrate. Le sue musiche furono messe in scena anche nel cosiddetto Teatro Piccolo o dei Comici anche se non documentate. Probabilmente le sue musiche si sentirono anche all’interno delle due chiese interne al Palazzo ovvero Santa Croce e la Basilica di Santa Barbara dove venne suonato l’inno Ave maris stella.

CLAUDIO PRIVATO. Non visse all’interno della corte ma ha scelto un’abitazione collocata nell’attuale vicolo Freddo che faceva parte della parrocchia dei Santi Simone e Giuda. Qui infatti, nella chiesa, Monteverdi il 20 marzo 1599 si sposa con Claudia Cattaneo, cantante di corte. Ebbero tre figli ma Claudia morì appena otto anni dopo. Il 1612 segna la fine della sua esperienza mantovana. Morto Vincenzo I, Monteverdi non ha mecenati in Palazzo, venne licenziato e fu costretto a fare ritorno a Cremona.

10 luglio 1613, Venezia. Succede un fatto che Monteverdi non pensava potesse essere così connesso alla sua vita. Muore Giulio Cesare Martinengo il maestro di cappella della Basilica di San Marco. Il 19 agosto Monteverdi prese il suo posto. Non lasciò più Venezia fino al 29 novembre 1643 quando morì sotto forma di note.

 

Bibliografia: Paolo Fabbri, Monteverdi, Biblioteca di cultura musicale 2018 | Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Casa editrice Le Lettere, 1999 

Immagine: Bernardo Strozzi, ritratto di Claudio Monteverdi 1630 – Kunstgeschichtliche Sammlungen (particolare delle mani e dei madrigali)

 

Ingegneri, feste e prodigi. Le naumachie sui laghi di Mantova

Le leggi di Keplero vengono teorizzate tra il 1608 e il 1609. Nell’aria europea si sta raccogliendo l’eredità di Copernico e dell’astronomo Tyge Brahe. Le formule spiegano – anche per iscritto – la dinamica dei moti dei pianeti. Il mondo viene letto e raccontato attraverso la meccanica.

31 maggio 1608, Mantova. Il ciclo di festeggiamenti in onore di Francesco IV Gonzaga e Margherita di Savoia è cominciato da una settimana, era il 24 maggio. Andrà avanti fino al giorno 8 giugno. La sera di sabato viene offerto agli ospiti e alla popolazione lo spettacolo a cui Vincenzo I teneva di più ovvero la battaglia navale tra le armate cristiane e quelle turche allestita nelle acqua del Lago di Sotto ovvero il lago Inferiore. La messinscena è frutto delle sapienti arti meccaniche di Bertazzolo e scenografiche di Viani, entrambi presenti a Mantova. Tutto era stato costruito: le navi, la fortezza, i costumi, il copione. Oltre ai resoconti di corte c’è anche un cronista d’eccezione, Federico Zuccaro, a quel tempo in città e spettatore interessato e stupito. Essendo sera il lago viene illuminato con quattro zattere di bitume ardenti per renderlo “luminoso e chiaro”. Lo spettacolo comincia. Così racconta l’ambasciatore Annibale Roncaglia a Cesare d’Este. Sette galere attaccano la Fortezza “che prima fecero bellissimi fuochi con raggi, girandole et altre sorti. […] Preso, abbruggiato e saccheggiato il castello, cominciarono raggi et fuochi così belli d’allegrezza che durarono assai che pareva stupore, et fatti si chiamò alla raccolta con trombe et tamburi et soldati. Quasi tutti se ne tornarono all’armata nelle galere, onde fu finita la festa alle cinque hore, et ognuno se n’andò a cena. Era illuminato tutt’il lago alle ripe con fuochi grandi”.

Non si trattava della prima naumachia mantovana. C’erano stati tre antecedenti. Il primo fu il 22 ottobre 1549 in occasione dell’ingresso di Caterina d’Austria sposa di Francesco III Gonzaga. Fu preparato sul lago di Sopra un assalto di “sette navi acconcie a modo di fuste e di bergantini” a “un picciolo castello fabricato di legame” difeso da dodici uomini vestiti alla turchesca. L’altro spettacolo, sempre allestito nel Lago di Sopra, venne organizzato il 26 aprile 1561 per accogliere l’arrivo di Eleonora d’Austria sposa di Guglielmo. Le manifestazioni erano goffe, di breve durata e incentrate sulle manovre delle navi e delle soldatesche. Non erano ancora stati aggiunti i fuochi d’artificio. La manifestazione del 22 settembre 1587 fu la più curata e l’antecedente più diretto di quella che sarebbe avvenuta vent’anni dopo. Il pubblico, a differenza dei precedenti, assiste dall’alto e staccato dalla scena e non più su di un’imbarcazione in movimento. Il punto di vista era fisso e non relativo replicando così l’esperienza del teatro.

Nel 1608 Mantova è il più importante laboratorio teatrale d’Europa. Bertazzolo venne richiesto addirittura dai Medici, primi rivali dei Gonzaga in tema di spettacoli. La stagione di Vincenzo aveva davanti a sé ancora quattro anni di meraviglie.

 

Bibliografia: Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Casa Editrice Le Lettere, 1999 | ASMO, Estense, Ambasciatori, Mantova, b. 8, fasc. 6, cc. 10r-11r  | Giancarlo Malacarne, Le feste del Principe, Il Bulino edizioni d’arte, 2002

Immagine: Battaglia navale, 1608 – Gabriele Bertazzolo, tecnica incisione. Didascalia: disegno della Battaglia Navale / et del castello de fuochi trionfali / Fatti nelle felicissime nozze del Sereniss. S. Prencipe di Mantova et Monferrato / Con la Serenissima Infante di Savoia / Per opera et architettura / di Gabriele Bertazzolo ingegnero / dell’Alt. Sereniss. di Mantova. 

Fonte: Fondazione Giorgio Cini 

 

La Mantova di Antonio Maria Viani. Metamorfosi, spettacoli e costruzioni

1591. Sul libro dei viaggi del tipografo belga Theodor de Bry appaiono le prime raffigurazioni dei costumi e delle tradizioni dei nativi americani. Si conosceva un altro pezzo di mondo mentre in tutte le corti le parole d’ordine erano stupore e teatro.

Mantova, 1592. Dopo un’esperienza di cinque anni a Monaco presso il duca Guglielmo V di Baviera arriva in città il cremonese Antonio Maria Viani, architetto, pittore e scenografo. Tre anni dopo riceve l’incarico e ruolo di Prefetto alle fabbriche ducali che mantenne fino alla morte avvenuta nel 1630 che segnava anche l’epilogo delle glorie dei Gonzaga. Ha partecipato ai cambiamenti architettonici ma anche politici del Palazzo seguendo le imprese e le ambizioni degli ultimi quattro duchi: Vincenzo I, poi i suoi figli Francesco IV, Ferdinando e Vincenzo II.

VIANI SOLIDO. Il Palazzo Ducale, nei suoi 35 anni di servizio, si compone di altri luoghi specifici. Nel 1595, lungo il muro del Giardino del Baluardo, viene ricavata la Galleria delle Metamorfosi e qui troverà spazio la collezione scientifica di Vincenzo. Dal 1601 interviene sulla fabbrica di Corte Vecchia realizzando la Sala degli arcieri e gli spazi privati del duca Vincenzo. E poi la Galleria della Mostra e il Logion Serato o Lozone de’ quadri – che nel 1602 è ancora aperta e chiusa probabilmente nel 1614.  A lui si deve la definitiva comunicazione dei diversi ambienti del Palazzo attraverso un sistema di corridoi che riprendeva la funzione di quelli medicei. Viani lavora anche in contesti esterni alla corte. In ambito religioso: si occupa della cripta nella Chiesa di Sant’Andrea, realizza le chiese di San Maurizio e di Sant’Orsola, quest’ultima per Margherita sorella di Vincenzo. Fuori città prosegue la costruzione della Palazzina di Bosco Fontana – avviata alla fine del Cinquecento dal cremonese Dattari – e la sfarzosa Villa a Maderno sul Garda per Vincenzo, in realtà mai abitata. Quasi di fronte alla casa di Giulio Romano, realizza il Palazzo Guerrieri Gonzaga che nel Cinquecento appartenne Guerrieri, originari di Fermo.

VIANI EFFIMERO. Essere prefetto alle fabbriche voleva dire occuparsi anche degli apparati effimeri – pitture e architetture – per gli spettacoli e le cerimonie sacre e profane. Già nel 1595 – anno della nomina – la firma del Viani è presente sulle note di spesa e sugli ordini di pagamento per allestire una barriera nel cortile della Mostra, per il teatro di corte e la costruzione di un catafalco per le esequie del duca di Nevers. Così Viani ha preparato, in modo tecnico e creativo, per gli oltre trentanni di carnevali, giostre e tornei. Di lui non c’è rimasto un singolo disegno o bozzetto della sua attività che doveva comunque comunicare il gusto per gli artifici di prospettiva, i giochi ottici, gli elementi del paesaggio e quello bizzarri. Affascinante ma ancora tutta da definire, perché non convalidato dai documenti, la realizzazione dei due teatri, quello di corte e dei comici, quest’ultimo già in funzione nel 1609.

VIANI PITTORE. L’attività meno nota di Viani è quella di pittore. Nel 1593 realizza insieme ad Ippolito Andreasi gli affreschi del catino absidale del Duomo di Mantova. Per la chiesa di Sant’Orsola realizza la pala La Vergine presenta Santa Margherita alla Santissima Trinità. Posta sull’altare sinistra nel 1619, è un’opera dalle notevoli dimensioni – 450×374 cm – che mostra, rispetto agli esordi della carriera, una tavolozza più fredda, una grande regia della luce e un’impostazione spaziale più ardita. La tela è firmata e datata 1619, un anno dopo la morte di Margherita.

Questa è la città spettacolare che avrebbe abitato Rigoletto, il personaggio inventato da Verdi e in fondo trasposizione italiana del vero Triboulet.

Bibliografia: Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Casa Editrice Le Lettere, 1999 | Raffaella Morselli, Le collezioni Gonzaga. L’elenco dei beni del 1626-27, Silvana Editoriale 2000 | Stefano L’Occaso, Museo di Palazzo Ducale di Mantova. Catalogo generale delle collezioni inventariate. Dipinti fino al XIX secolo, Publi Paolini 2011

Immagine: Antonio Maria Viani offre a Margherita Gonzaga il modello della Chiesa di Sant’Orsola, 1618-20 (olio su tela, Palazzo Ducale di Mantova). Particolare

Dentro le librerie dei palazzi. Storie di famiglie, eredi e inventari

Palazzi, famiglie e collezioni. Tra Cinquecento e Seicento si assiste ad una proliferazione di nuovi palazzi costruiti, acquistati o abbelliti da parte di famiglie mantovane e non di lunga data, nuove famiglie e nuovi imprenditori arrivati in città. In queste famiglie ci sono molti funzionari, diplomatici e persone che scalano posizioni nella corte gonzaghesca. Oltre alle collezioni di dipinti, sculture e altri oggetti rari si registra la presenza di biblioteche all’interno dello studiolo del padrone di casa. Testi classici, latini e greci, prime edizioni, codici miniati e libri prodotti prima dell’invenzione della stampa. Tutto questo fa parte dell’eredità familiare che fluisce da una generazione all’altra. Un autentico patrimonio di carta, parole e conoscenza che viene, in genere, documentato all’atto della morte. Gli inventari in questo caso – ma non è sempre così – avvengono qualche giorno o settimana dopo la morte. Solo nelle mani dei cinque personaggi che andrò a descrivere troviamo riunito un patrimonio di 3.500 libri.

BALDASSARRE SENZA CORTEGIANO. Nel 1529 viene realizzato l’inventario dei beni di Baldassarre Castiglione nel suo palazzo in piazza San Pietro. Si registra la presenza di 144 libri, soprattutto di autori classici e greci, ma soprattutto l’assenza della copia del libro del Cortegiano appena stampato l’anno prima. Altri 40 libri invece sono a Toledo dove si trovava Baldassarre. Una breve e non esaustiva lista: Flavio Biondo, Ermolao Barbaro, Guarino da Verona, Cicerone, Marziale, Seneca, Giovenale, Euripide, Petrarca, Aristofane. I dieci testi greci confermano la conoscenza della lingua da parte del letterato.

UNA FAMIGLIA FIORENTINA. Nella contrada del Leone Vermiglio è ubicato il palazzo della famiglia Strozzi. Il 29 luglio del 1631 viene realizzato l’inventario dei beni di Giulio Cesare Strozzi, figlio di Pompeo a sua volte nipote di Tommaso Strozzi che tra il 1516 e il 1523 aveva portato a Mantova alcuni cartoni della Battaglia di Anghiari di Michelangelo. Nello studio si trova la libreria che contiene oltre 100 volumi insieme ad una notevole collezione di medaglie antiche di piombo (240) e in oro e argento (30).

I CALANDRA E L’ORDINE. Vicino al Castello di San Giorgio, in contrada dell’Aquila, sorgeva l’abitazione della famiglia Calandra, da sempre castellani e funzionari dei Gonzaga. L’inventario di Giovan Giacomo juonior, redatto nel 1591, nello studio l’archivio e la libreria di famiglia sono presenti oltre 1.600 libri descritti con titolo, autore e misure. Sono disposti su delle scansie tutto attorno alle pareti della stanza, spesso raccolti per soggetto e per ordine alfabetico.

IL MEDICO COLLEZIONISTA. Ancora nella contrada del Leone Vermiglio, dopo il convento di Sant’Orsola, c’era il palazzo di Marcello Donati, chiamato “Il Borgo”. Ottenuto il dottorato in medicina e filosofia, Marcello diventa il precettore di Vincenzo I nonché consigliere di stato. Aumenta la già cospicua collezione del padre Ettore – composta da 96 volumi – e arriva al numero di oltre 1.200 così come registrati al momento dell’inventario nel 1602. Ovviamente la materia era soprattutto medicina e filosofia.

RELIGIOSO E CONSIGLIERE. Tullio Petrozzani era un membro influente della corte di Vincenzo I diventandone nel 1587 il consigliere di stato e nell’ultima parte della sua vita Primicerio della Chiesa di Sant’Andrea. La sua libreria, nell’inventario del 1609, era composta da 350 volumi suddivisa in autori classici, moderni e di legge.

 

Bibliografia: Guido Rebecchini, Private collectors in Mantua 1500-1630, Sussidi Eruditi 56, Roma 2002

Immagine: Fonte Pixabay, immagine di repertorio 

Vasari e l’idea del primo hub moderno. Il modello per il Ducale di Mantova

1565. A Firenze è l’anno del matrimonio del figlio Francesco I e Giovanna d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo. È lo stesso anno  della costruzione del corridoio vasariano per volontà di Cosimo I de’ Medici. Tempo di realizzazione 5 mesi. Cosimo era il secondo – e ultimo – duca di Firenze e quattro anni dopo sarebbe diventato il primo granduca di Toscana. Un passo avanti deciso verso la costruzione di uno stato moderno.

Un corridoio per collegare, proteggere, privatizzare. Si trattava di realizzare un percorso sopraelevato per congiungere Palazzo Vecchio, Ponte Vecchio e Palazzo Pitti che dal 1549 era stato acquistato da Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo. Il libero movimento della famiglia è da leggere nell’idea di un “palazzo diffuso” dove le singole parti, di epoche diverse, sono tenute insieme da collegamenti per un totale di oltre 500 metri. Non mancava l’aspetto teatrale e quello religioso lambendo proprio per il Teatro della Baldracca e la Chiesa di Santa Felicita.

IL MODELLO FIORENTINO. L’idea di un polo nevralgico e smart – quello che oggi chiameremmo hub – era venuta a Cosimo cinque anni prima. Era stato ingaggiato Giorgio Vasari per riunire le 13 più importanti magistrature fiorentine – dette Uffici – in un unico edificio posto sotto la tutela e la sorveglianza del Duca. A fianco infatti c’è il Palazzo Vecchio – all’epoca Palazzo Ducale – e dall’altra parte dell’Arno invece la residenza “suburbana” ovvero Palazzo Pitti. Dagli Uffizi al Giardino di Boboli passando per Ponte Vecchio che viene adeguato alla funzione: il celebre e tradizionale mercato delle carni fu trasferito e al suo posto inserite le più consone botteghe degli orafi.

L’APPLICAZIONE MANTOVANA. Un tale modello costruttivo viene ben presto assimilato e usato anche nelle altre corti che hanno simili “problemi” di spazio. Un caso analogo è quello del Palazzo Ducale di Mantova. Tanti edifici diversi, di epoche diversa, con funzioni diverse. L’azione di cucitura viene avviata con il duca Guglielmo Gonzaga che dal 1562 avvia la costruzione della chiesa di Santa Barbara. Tale struttura – la cappella palatina e privata della famiglia – sarà la stella polare dell’intero complesso di 35.000 mq. Dal 1595 con il duca Vincenzo I – il figlio di Guglielmo – il complesso sarà dotato di un ulteriore incremento di corridoi e gallerie coperte ad opere di Antonio Maria Viani, prefetto alle fabbriche ducali. È sorprendente la stessa analogia che prevede la comunicazione tra Corte Vecchia, Magna domus, il Duomo, la chiesa palatina, il castello e la Corte Nuova. Inoltre serviva per facilitare lo spostamento della famiglia. tra di diversi luoghi dello spettacolo. Il duca così si poteva spostare da un teatro all’altro, da quello privato a quello dei comici a quello aulico.

 

Bibliografia: Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Casa Editrice Le Lettere, 1999 – G. F. Young, I Medici, Salani Editore 2016 

Immagine: Veduta di una parte del corridoio vasariano 

Tullo Petrozzani, il consigliere di stato con l’unicorno rampante

Mentre Galileo per la prima volta rivolge al cielo un cannocchiale e Keplero formula le famose due leggi che porteranno il suo nome, a Mantova moriva Tullo Petrozzani. Era il 1609. Da un anno Tullo era stato nominato gran cancelliere dell’Ordine del Redentore, istituito dal duca Vincenzo appena un anno prima. Membro di una nobile famiglia, faceva parte della ristretta cricca di uomini di fiducia del duca Vincenzo I Gonzaga. Dal 1587 era diventato consigliere di Stato. Dopo la morte della moglie Anna Pozzo Crema si avvia la carriera ecclesiastica e nel 1595 diventa primicerio della Chiesa di Sant’Andrea. Il palazzo di famiglia si trova in via Mazzini, acquistato ed allargato da Tullo negli anni 80. Il tempietto fu eretto intorno al 1590 dall’architetto Viani o probabilmente dall’altro cremonese Dattaro, prefetto alle fabbriche ducali dal 1590 al 1595. come chiesa annessa al palazzo, si trova infatti nella parallela via Isabella d’Este. Accesso interno per l’uso privato della famiglia e accesso esterno sulla via pubblica. Il tempietto, noto come San Lorenzino, è testimoniato dal dipinto custodito nel Palazzo Ducale e di cui si vede parte dell’interno – che doveva essere a pianta ellittica e voltato.

I PERSONAGGI. Il dipinto, menzionato per la prima volta nell’inventario del 1610 di Tullo Petrozzani, è citato come altro quadro sopra il quale è ritrato la signora contessa Chiara con signor Lorencio, Cintio et Tullio et signor Conte Pavolo et Anna, tutti figlioli di detta contessa Chiara e del detto signor conte Terentio, senza cornice, ingenocchiati tutti inanti ad un altare, con la sua coperta d’ormesino verde, con picetti di setta, usato. 

FOCUS N.1 La datazione e l’attribuzione dell’opera non appaiono ancora certe, si dibatte per una realizzazione intorno al 1600 e soprattutto tra firme mantovano e un anonimo fiammingo. Pare infatti che un ritrattista fiammingo del duca Vincenzo sia al servizio di Tullo nel 1597. Il dipinto rappresentato sopra all’altare – un Crocifisso con la Vergine e san Lorenzo – oggi perduto, potrebbe essere una delle prime opere dipinte ufficiali del Viani che lavora per i Gonzaga dal 1592.

L’INVENTARIO. La sua collezione, in linea con quella di altri personaggi nobili della città, è costituita da 71 dipinti, 7 sculture, 348 medaglie (antiche e moderne, in oro e argento) e altre oggetti suddivisi tra religiosi, devozionali e curiosi. Si ricordano tra gli altri una reliquia con “la crocetta di legno della santissima croce è veramente croce del legno della santissima croce di Nostro Signore” e uno “scatolino con dentro dell’alicorno, havuto da sua altezza”. Probabilmente ottenuto per celebrare lo stemma di famiglia che rappresenta un unicorno rampante. Dei 71 dipinti il 69% è costituito da soggetti devozionali, gli altri di soggetto profano e rappresentano oltre ai papi Paolo V e Clemente VIII, il duca Vincenzo I, il cardinale Ercole, se stesso e suo figlio Terenzio, Attila, il duca Federico II e il marchese Francesco II. Una galleria di ritratti che glorificavano la famiglia Petrozzani. Tra cui il nostro di copertina.

Chiudiamo riprendendo il filo dell’inizio, parlando di astri. Nella stessa galleria, oltre alle mappe e alle stampe soprattutto del Monferrato, sono conservati un globo e una sfera armillare ovvero una “strologia di ottone, con sue sfere, et altri segni celesti”.

 

Bibliografia: Guido Rebecchini, Private collectors in Mantua 1500-1630, Sussidi Eruditi 56, Roma 2002 – Stefano L’Occaso, Museo di Palazzo Ducale di Mantova. Catalogo generale delle collezioni inventariate. Dipinti fino al XIX secolo, Publi Paolini 2011 – Le chiese della città di Mantova nel ‘700. Repertorio, Quaderni di San Lorenzo 17, Mantova 2019 

Immagine: Chiara Albini Petrozzani con i figli Lorenzo, Cinzio, Tullio, Paolo e Anna in preghiera, Palazzo Ducale di Mantova  

Cosa mangiava un comico nella Mantova di Vincenzo Gonzaga

Comici, zarattani e cantimbanco giravano molto tra le città dell’Italia di fine Cinqucento e la loro presenza comincia ad essere disciplinata da un sistema abbastanza rigido di permessi, licenze e regole ducali. La corte di Gugliemo e quella futura di Vincenzo I metteranno al centro lo spettacolo e utilizzeranno proprio le competenze di questi “venditori di risate”. A Mantova il cambiamento sarà totale quando da itineranti diventeranno la compagnia stabile del duca. Il decreto del 14 marzo 1580 concedeva a Filippo Angeloni la carica “in superiorem comicorum et circulatorum” ottenendo così la soprintendenza su comici e ciarlatani.

CHI ERA. Filippo nel 1577 figurava già tra i musici di corte. Per descriverlo si usa l’aggettivo giocondo che richiama alla professione di buffone di corte. Risulta infatti tra i comici di corte tra il 1583. Viene anche identificato erroneamente come Filippo Zoppo, autore e allestitore di commedie già tra il 1525 e il 1532.

QUANTO GUADAGNAVA. Nel 1577 come musico aveva un assegno annuale di lire 167.8 mentre in seguito come cantore figurava nel Registro dei provvisionati ordinari con uno stipendio mensile di lire 13.19 e una bocca.

COSA MANGIAVA. Per bocca si intende dotazione giornaliera e consisteva in due pani, due porzioni di vitello, due di pesce, una di sale e due candele.

L’ULTIMA NOTIZIA. Si incontra Filippo Angeloni in un documento del 12 maggio 1599. Scriveva al duca Vincenzo inviandogli alcuni versi dedicati alla “sua ingeniosissima e fatale impresa del SIC”. Data spartiacque quella del 1599. Se ne va Filippo e arriva sulla scena Tristano Martinelli che ne prende il posto come Soprintendente dei comici, figura intermedia tra la corte e la piazza.

 

Bibliografia: Claudia Buratelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Casa Editrice Le Lettere 1999 – Levato dalla filza 1587 al 1600 degli Economici camerali, ASMN, Gonzaga, b. 395, c. 156v. 

Immagine: Anonimo fiammingo, 1580. Probabilmente il ritratto della Compagnia dei Gelosi. Questa compagnia era formata da due personaggi anziani Pantalone e Graziano (antico nome del Dottore bolognese), due coppie d’innamorati, due zanni Pedrolino (primo zanni) e Arlecchino (secondo zanni). Le cosiddette parti mobili, ovvero quelle non sempre indispensabili alla trama, erano il Capitan Spavento, la Servetta (che poi assumerà il nome di Colombina) e la ruffiana.