La cucina ebraica nel Rinascimento era un intreccio di culture e sapori diverse che trovavano una nuova forma all’interno del Ghetto. I sapori del mondo spagnolo, tedesco, levantino e mediorientale trovavano una nuova combinazione di ingredienti che ancora oggi fondano i piatti cosiddetti “della tradizione”. Certamente le regole della Kashrut imponevano alcuni divieti: non mangiare la carne di “animali immondi” (cavallo, maiale, tonno, anguilla, trota), non cucinare la carne con il latte né consumare carne e derivati del latte insieme. La carne, così come il vino, dovevano essere kasher ovvero trattati in modo chirurgico e asettico perché non doveva contenere sangue. Queste regole, sia chiaro, sono alla base anche dell’attuale kashrut.
Ve ne dico solo alcuni: le sarde il saor, il carciofo alla giudea, la coratella, il brodetto. A Mantova pare erano molto apprezzati dagli ebrei ashkenaziti (tedeschi) i maccheroni bolliti e serviti in brodo d’oca. Ce lo racconta Merlin Cocai.
Ci è giunto anche il menù di un ricco banchetto mantovano in occasione della festa ebraica Purim del 1619. Tra i servizi di cucina sono presenti cassate (ovvero torte salate), latteruoli (pasticci di carne), pesce fritto in guazzetto, brodetto di pesce, agnello al forno, cappone arrosto, tacchino al limone, gallina con agliata e salsa di noci, mammella lessa all’agresto. Tra i servizi di credenza tortelli (quale il ripieno?) caliscioni, gnoccata, pignoccata, spongata (tipico anche dell’Emilia, una delizia!) cotognata, salsiccioni d’oca, lingua salmistrata, marzapane, confetti, riso con zibibbo e mandorle, bianco mangiare.
Trovate qualche analogia con i piatti di oggi? Una vera Babele che trovava accordi e giuste misure anche nella cucina. Trovate un ristorante ebraico e provate!
Bibliografia: Pierluigi Ridolfi, Rinascimento a tavola, 2015