Una confusione ragionata. Gentile e Memling, un dialogo possibile.

Il dipinto, conservato presso la Galleria Sabauda di Torino, è databile tra il 1470 e il 1471 e riguarda il legame stretto tra committente ed esecutore. Infatti fu la famiglia Portinari a richiedere a Memling l’esecuzione del dipinto.

Maria e Tommaso Portinari sono rappresentati nelle due estremità inferiori della tavola. Tommaso, funzionario dei Medici, si sposò con Maria proprio nel 1470 ed ebbero la prima figlia nel 1471. Il primo a citarlo fu Giorgio Vasari nella prima edizione delle Vite.

L’opera si presenta come una grande raccolta di tutti gli episodi della Passione di Cristo e quindi con finalità fortemente devozionale, date le dimensioni, adatta ad un contesto privato. Quello che racconta Memling è un microcosmo dal ritmo serrato e incalzante che stordisce lo sguardo. Dall’entrata a Gerusalemme di Cristo – in alto a sinistra – fino alla crocifissione – in alto a destra – e poi la deposizione e l’apparizione sul Lago di Tiberiade.

La città di Gerusalemme è squadernata e al contempo si presenta come un contenitore che raccoglie il brulicare di personaggi e scene. Tutti gli spazi a disposizione vengono utilizzati pur mantenendo quella leggibilità pratica dovuta ad un’opera devozionale. Non solo ma gli episodi risultano perfettamente calati nel quotidiano rendendo le scene più verosimili e quindi la devozione un momento più vero e reale. Incredibile la presenza contemporanea del giorno e della notte, delle scene di luce e di buio, ovviamente dal significato simbolico e religioso.

La Passione di Memling raggiunge un risultato davvero strabiliante della fusione della tradizione pittorica fiamminga e italiana. Il pittore al momento dell’esecuzione ha circa 35 anni e solo da 6 anni risulta avere una propria bottega a Bruges ed esserne cittadino. Il paragone forse non regge del tutto ma c’è quella stessa “confusione ragionata” messa in scena da Gentile da Fabriano nell’Adorazione dei Magi degli Uffizi. La data è di troppo precedente (1423) e chissà se Memling lo conosceva – probabilmente sì – tuttavia è innegabile il modo in cui i due pittori abbiano affrontare l’addomesticamento di un gruppo così folto di figure che hanno gesti, tratti e movimenti diversi.

Bibliografia: Memling, Rinascimento fiammingo, Scuderie del Quirinale, 2014

Immagine: Hans Memling, Passione di Cristo 1470-71 (Galleria Sabauda, Torino)

Gli scacchi di Giulio Campi. Venere, un po’ di Medioevo e il gambetto

Non è questo il contesto per descrivere la lunga storia degli scacchi. E’ il caso di segnalare invece quante volte venga utilizzata l’immagine della scacchiera o di una partita in corso dal Medioevo fino ad oggi. L’arte lombarda e veneta ci offrono tantissimi esempi. Ci fermiamo ad analizzare il dipinto datato 1530 e realizzato dal pittore cremonese Giulio Campi.

Si notano molti personaggi maschili e femminili, ben vestiti, che stanno osservando con varie dinamiche una partita tra un uomo in armatura e una matrona dalla veste sontuosa e ornata di gioielli. Quella che in apparenza è una partita di scacchi in realtà è la rappresentazione di un rituale amoroso. Il gioco – di cui tra l’altro ignoriamo le mosse realizzate – diventa il pretesto. La scacchiera è visibile solo a metà e si trasforma nell’allusione di una tenzone amorosa. L’uomo che è cavaliere e deve dare l’assalto al cuore arroccato della dama difesa dalle sue complici compagne. Venere e Marte si sfidano. La rosa è appoggiata sul tavolo. Sappiamo benissimo che nel duello Venere vince su Marte. Nel contorno della scena tutte le “mosse” e le schermaglie che avvengono durante il duello tra chi attacca e chi difende, tra chi è cavaliere e chi è dama. Certamente il linguaggio dell’opera si muove su stereotipi e riprende ancora tenacemente la simbologia e i valori del mondo medievale.

Venere comunque vince su Marte, e questo lo sappiamo, ed era l’unico finale possibile. Mentre non sappiamo con quale mossa avrà aperto la dama. Chissà, magari proprio quella del gambetto caratterizzata dal sacrificio di uno o più pedoni già durante nella prima fase della partita. Il termine è italiano e nasce proprio nello stesso periodo del dipinto di Giulio Campi. Fu proprio nel Cinquecento in cui per la prima volta vengono teorizzate le aperture nel gioco degli scacchi. Gambetto significa “sgambetto” ovvero “trappola” e “agguato”. Il vocabolo è poi passato in moltissime delle lingue europee.

Il gambetto di donna è una delle più antiche aperture ad oggi conosciute. Luis Ramirez de Lucena, scacchista spagnolo, lo descrive in un documento del 1497. Non era un’apertura “di moda” nel Rinascimento. Diventa tale nel 1873 quando fu utilizzata in un torneo giocato a Vienna. Per chi volesse provare l’apertura queste sono le mosse: 1.d4 d5 – 2.c4

Bibliografia: fonte wikipedia per Gambetto di donna | David Schenk, Il gioco immortale. Storia degli scacchi, Mondadori 2008

Immagine: Partita a scacchi, Giulio Campi 1530 (olio su tavola, Museo civico di arte antica, Torino)