Gli scacchi di Giulio Campi. Venere, un po’ di Medioevo e il gambetto

Non è questo il contesto per descrivere la lunga storia degli scacchi. E’ il caso di segnalare invece quante volte venga utilizzata l’immagine della scacchiera o di una partita in corso dal Medioevo fino ad oggi. L’arte lombarda e veneta ci offrono tantissimi esempi. Ci fermiamo ad analizzare il dipinto datato 1530 e realizzato dal pittore cremonese Giulio Campi.

Si notano molti personaggi maschili e femminili, ben vestiti, che stanno osservando con varie dinamiche una partita tra un uomo in armatura e una matrona dalla veste sontuosa e ornata di gioielli. Quella che in apparenza è una partita di scacchi in realtà è la rappresentazione di un rituale amoroso. Il gioco – di cui tra l’altro ignoriamo le mosse realizzate – diventa il pretesto. La scacchiera è visibile solo a metà e si trasforma nell’allusione di una tenzone amorosa. L’uomo che è cavaliere e deve dare l’assalto al cuore arroccato della dama difesa dalle sue complici compagne. Venere e Marte si sfidano. La rosa è appoggiata sul tavolo. Sappiamo benissimo che nel duello Venere vince su Marte. Nel contorno della scena tutte le “mosse” e le schermaglie che avvengono durante il duello tra chi attacca e chi difende, tra chi è cavaliere e chi è dama. Certamente il linguaggio dell’opera si muove su stereotipi e riprende ancora tenacemente la simbologia e i valori del mondo medievale.

Venere comunque vince su Marte, e questo lo sappiamo, ed era l’unico finale possibile. Mentre non sappiamo con quale mossa avrà aperto la dama. Chissà, magari proprio quella del gambetto caratterizzata dal sacrificio di uno o più pedoni già durante nella prima fase della partita. Il termine è italiano e nasce proprio nello stesso periodo del dipinto di Giulio Campi. Fu proprio nel Cinquecento in cui per la prima volta vengono teorizzate le aperture nel gioco degli scacchi. Gambetto significa “sgambetto” ovvero “trappola” e “agguato”. Il vocabolo è poi passato in moltissime delle lingue europee.

Il gambetto di donna è una delle più antiche aperture ad oggi conosciute. Luis Ramirez de Lucena, scacchista spagnolo, lo descrive in un documento del 1497. Non era un’apertura “di moda” nel Rinascimento. Diventa tale nel 1873 quando fu utilizzata in un torneo giocato a Vienna. Per chi volesse provare l’apertura queste sono le mosse: 1.d4 d5 – 2.c4

Bibliografia: fonte wikipedia per Gambetto di donna | David Schenk, Il gioco immortale. Storia degli scacchi, Mondadori 2008

Immagine: Partita a scacchi, Giulio Campi 1530 (olio su tavola, Museo civico di arte antica, Torino)

Da Giulio Romano a Giulio Campagna. Le camere del Tesoro nella Rustica

La Rustica o Estivale, fino a Vincenzo I, viene utilizzata come appartamento dedicato agli ospiti di prestigio. Con Ferdinando Gonzaga cambia la sua funzione e diventa la sede delle camere del Tesoro. La custodia era affidata a Giulio Campagna, Guardarobiere Maggiore e responsabile dei tesori. Il sistema delle camere, progettate da Giulio Romano e decorate dalla sua bottega e dal Bertani, era una successione di preziosità il cui contenuto dava il nome alla stanza. La Camera di Giove era chiamata dei Cristalli perché vi erano esposti i cristalli in vetrine e armadi. Nella Stanza delle due colonne argenti e oggetti di pietre dure, nella Sala della Mostra gli abiti da parata e le armature di Vincenzo I. Pellicce e maioliche erano invece nel Loco della Mascarada ovvero nel Salone delle Quattro Colonne. L’ufficio di Giulio Campagna si trovava nell’attuale Stanza del Pesce. Nel camerino chiuso chiamato Studio di Orfeo erano custoditi i cosiddetti “sassi” ovvero le pietre da lavorare.

Giulio compare per la prima volta nei documenti alla data del 1600 insieme al fratello Lorenzo. I due avranno incarichi speciali circa la custodia delle collezioni. Giulio sarà il soprintendente generale ovvero colui che sceglie i quadri da comperare, da spedire e cosa dare come donativo. L’incarico richiedeva un’estrema fiducia. Insieme ad altri responsabili formava l’equipe di esperti al servizio di Ferdinando. Un modello che farà scuola e verrà esportato nell’Inghilterra di Carlo I.

Nel 1631, ultimo anno in cui è documentato, dopo le vendite e il sacco di Mantova stima le perdite per un totale di 18 milioni di ducati.

 

Bibliografia: Raffaella Morselli, Le collezioni Gonzaga. L’elenco dei beni del 1626-27, Silvana Editoriale 2000

Immagine: Particolare di un ambiente dell’Estivale, attribuito a Giulio Campi