Le stagioni dentro il Palazzo Ducale. Giardini come svago, scienza e stupore

Gli spazi verdi non sono solo presenti nella città ma caratterizzano la struttura polifunzionale e stratificata del Palazzo Ducale. Camminando tra le diverse aree si ha la sensazione di cambiare continuamente registro, epoca e luogo. In parte è vero ma è proprio l’effetto che fa il Palazzo. Solo in Corte Vecchia sono presenti quattro giardini. Quello del Padiglione o dei Semplici che si estende per 2900 metri quadri, stretto nella morsa tra la Domus Nova, la Rustica e l’appartamento delle Metamorfosi. La grande aiuola esterna è definita da un perimetro di siepi di bosso e coltivata con giaggioli azzurri. Lo spazio è scandito da viali ortogonali che delimitano altri quattro quadrati al cui centro c’è un tasso e quattro melograni attorno. Suddivise in modo armonico e geometrico, quasi a ricreare il principio dell’ordine cosmico, ci sono piante aromatiche, officinali e alimentari. La struttura originaria, organizzata dal frate fiorentino Zenobio Bocchi, si è persa nel 1775. L’attuale realizzazione risale al 1981. Il Cortile d’onore, esteso su un’area di 1160 metri quadri, si trova all’interno della Magna Domus. Anch’esso ha subito le trasformazioni dei secoli scorsi. Lo spazio si presenta suddiviso in quattro parti da viali perpendicolari. Vicino, all’interno dell’appartamento vedovile di Isabella d’Este, è presente il giardino segreto. Un piccolo rifugio verde di 80 metri quadri che, oltre alle siepi e ad alberi da frutto, doveva ospitare nelle nicchie statue e reperti antichi. In origine questo spazio era il giardino detto dela logia delle Cità e faceva dell’appartamento di Federico II. IL giardino presente oggi in Piazza Pallone costituiva nel Medioevo il cosiddetto brolo di corte.

Oltre agli spazi “a terra” ci sono quelli sospesi. Il giardino pensile, realizzato a partire dal 1579 da Pompeo Pedemonte, si trova al di fuori della Sala dei Fiumi: 775 metri quadri avvolti da un portico continuo. Fontana centrale, spazio costruito da una geometria di siepi di bosso e rose. L’altro giardino pensile si trova in Corte Nuova. Si chiama Giardino dei Cani, è di 140 metri quadri, e si trova tra l’appartamento di Troia e quello di Guglielmo Gonzaga. Quasi non si vede passando nella Camera dei Cavalli. Poco più avanti è il Cortile della Mostra, oggi chiuso ma un tempo fungeva da belvedere verso il lago. Viene destinato poi agli spettacoli equestri. Il meno conosciuto è il Giardino del Baluardo ovvero lo spazio verde posizionato ai piedi del palazzo, lato Castello sulla strada, che serviva nel Cinquecento come approdo per le imbarcazioni utilizzate dalla Corte. Il toponimo Pallada o Pallata identificava il baluardo, il porto e la porta. Si trattava di uno spazio di 5.500 metri quadri con la vegetazione prima organizzata in modo irregolare e in seguito scompartito in aiuole.

Bibliografia: I giardini dei Gonzaga. Un atlante per la storia del territorio, Del Gallo Editori 2018

Immagine: Giardino dei Semplici, Palazzo Ducale

Palazzo Te fin de siècle. Dai cavalli dei Gonzaga a quelli di Buffalo Bill

Dopo la caduta della famiglia Gonzaga l’area di Palazzo Te si trova a vivere nuove vite sotto il governo austriaco, francese e poi con l’unità d’Italia. Dal 1770 i terreni pertinenti al palazzo vengono concessi in uso alla Colonia Agraria della I. R. Accademia per la coltivazione di colture sperimentali. I giardini esterni e i viali vengono abbelliti e adibiti a pubblico passeggio. Nel 1808, sotto il governo francese, vengono realizzati i due portali delle Aquile su disegno di Giovanni Antonio Antonioli. Sempre a lui è riferito il progetto di un ippodromo – uno dei primi italiani – recuperando quello presente ai tempi dei Gonzaga. L’inventario del 1808 registra la presenza di 10.000 piante ma oltre la metà del secolo se ne contano 2.548 manifestando il chiaro degrado dell’area. Nel 1876 il Palazzo viene venduto al Comune per la somma di lire 50.000 che si prodiga ai “bisogni di una più attiva vita cittadina”. In poco più di quarant’anni si assiste ad una serie di interventi: 1884 l’impianto della linea tramviaria Brescia-Mantova-Ostiglia, 1878 il nuovo ippodromo, 1900 la fiera dei bovini con tettoie in ferro, dal 1914 il campo di calcio – il futuro Danilo Martelli – all’interno dell’ippodromo, 1925 il Foro Boario ovvero l’attuale edificio della Bocciofila. Nel frattempo l’area non è più un’isola e la fossa magistrale, che divideva l’isola dalla città, è stata interrata.

Un fatto di cronaca che stupirà. Il 17 aprile del 1906 Mantova era pronta ad accogliere il tour del Colonnello William Frederick Cody meglio conosciuto con lo pseudonimo di Buffalo Bill. Il suo spettacolo – Buffalo Bill’s Wild West – si è svolto nella zona di Palazzo Te occupando un’area di 40.000 metri quadrati con la presenza di 1.000 figuranti, 500 cavalli e 4 treni speciali di 50 vagoni. Buffalo Bill – attore, cacciatore, soldato, impresario, esploratore – passò per Mantova e l’effetto che non poteva sapere è che i suoi cavalli si misero a correre nella stessa area che fu dei celebri stalloni di casa Gonzaga.

 

Immagine: Palazzo Te, 1899 

Bibliografia: I giardini dei Gonzaga. Un atlante per la storia del territorio, Del Gallo Editore 2018

 

L’artista tuttofare. Progetti, piante e pavoni d’India

Palazzo Te non è solo architettura costruita in mattoni e invenzioni di Giulio Romano. Federico II sollecita la sua rete di amicizia con le altre città italiane per farsi mandare piante da Napoli, Roma, Firenze, Genova e Ferrara. Al Palazzo vengono privilegiate le coltivazioni di alberi da frutto come limoncini, piro bergamotto, pomi granati dolci, brogne, albichochi, peri ma anche olive, mandole e castagne. Lo stesso Giulio Romano verrà coinvolto nel trasporto. Nella lettera del 27 gennaio Federico scrive ad Ercole II duca di Ferrara per inviare Giulio (concesso eccezionalmente) circa una commissione. Il duca di Mantova scrive anche Bigo Taffone, giardiniere di Ercole, per avere vinticinque piante di brogne verdazze et altre tante di arbichochi di bella sorte, el che consignarete a messer Iulio Romano che viene a Ferrara, che ne la barca che lo conduce egli me li mandarà et a presso mi farete sapere il costo, che si pagarano. 

Così risponde Giulio Romano: voglio essere la domenica di carnevale a Mantova con le piante da vostra excellentia commessomi, et Bigo Taffone le ha cominciate a cavare. Circa alli ovi delli pavoni d’India, dice messer Quaglino che non cie ne sono, perché non è il suo tempo da fetare fino a marzo, et quando serrà il tempo pigliarà l’impresa de mandarli a vostra excellentia. L’artista Giulio deve anche occuparsi di piante e pavoni d’India.

Bibliografia: Daniela Ferrari (a cura di), Giulio Romano. Repertorio di fonti documentarie, 1992

Immagine: Giardino di Palazzo Costabili, Ferrara

I due labirinti di Palazzo Te. Quello vero e quello inventato

La mappa del Bertazzolo del 1628 mostra che in realtà nella parte sud della città c’erano due isole. Quella lunga e stretta, dove viene costruito il Palazzo Te, e un’altra dietro molto più estesa dalla forma di un tondo irregolare. Nella sezione sud-ovest si nota un grande labirinto di forma quadrata che misurava circa 240 metri per lato. L’area complessiva era di circa 6 ettari ovvero circa 60.000 metri quadrati. Quasi due volte la superficie di Palazzo Ducale. Si trattava di un Irrgarten ovvero un gioco cortigiano che, a differenza del labirinto regolare, presentava più vie d’uscita. Non serviva la destrezza ma solo chi era guidato dalla Fortuna giungeva alla meta. Provate se ci riuscite! Eseguito dal Bertazzolo per Vincenzo I il labirinto non compare nei resoconti dei viaggiatori e probabilmente fu vittima dell’incuria e della decadenza già dopo il sacco del 1630.

L’altro labirinto, rappresentato nelle mappe di Marten van Heemskerck, parrebbe invece un’invenzione. Doveva trovarsi all’interno del Cortile d’onore. Il pittore olandese del Cinquecento realizza un Album con 56 carte riferibili ad un viaggio in Italia. Di questi 36 fanno parte del Taccuino mantovano di schizzi. Ormai appare consolidata l’ipotesi che il labirinto sia stato aggiunto direttamente sui fogli solo nell’Ottocento creando poi quella fantasia che è diventata reale. Il Cortile doveva rimanere libero per accogliere gli ospiti e farli accedere alla Camera del Sole e della Luna.

Immagine: Urbis Mantuae Descriptio (particolare)

Bibliografia: I giardini dei Gonzaga, Ufficio Mantova e Sabbioneta Patrimonio Mondiale UNESCO, 2018. 

Un palazzo per l’estate. Quando a Marmirolo arrivò Carlo V

1541, Marmirolo. E’ passato appena un anno dalla morte di Federico II. A Mantova è appena arrivato Giorgio Vasari e Giulio Romano lo accompagna in visita alle sue opere. Giulio da qualche anno aveva terminato il cantiere del Palazzo di Marmirolo. Secondo me non poteva mancare la tappa ad una delle più blasonate dimore estive dei Gonzaga. Oggi non rimane nulla di quel palazzo distrutto alla fine del Settecento. Proprio lì dove vigila il Municipio sorgeva una autentica delizia. La fabbrica viene cominciata già nel Quattrocento ma apparteneva già ai primi Gonzaga quando si chiamavano Corradi. Guidone nel Trecento era conte e signore di Marmirolo. Il palazzo a quel tempo si trovava all’interno del recinto dell’antico Castello e tutto intorno il corso d’acqua Redefossi. Poi venne ampliato da Gianfrancesco Gonzaga che spostò il palazzo fuori dalle mura del castello. Con Ludovico II e Federico I divenne un edificio sontuoso e destinato ad ospitare la famiglia e i suoi ospiti più prestigiosi. Nel 1530 venne in visita Carlo V e nel 1549 suo figlio Filippo II. Leandro Alberti nel 1550 descrive così il palazzo: “passato il lago vedesi il soperbo Palazzo di Marmirolo, fatto da Federico primo marchese con grand’artificio et non menore spesa, ove sono le molte ordinate stanze da alloggiare ogni principe et re, secondo le staggioni”. E se qualcuno può pensare che fosse un palazzo minore il cronista continua così: “Invero ella è una opera di grandissimo et bellissimo artificio et di non minor piacere, et massimamente nei tempi dell’està, onde si possono rinfrescare li riscaldati”.

Attorno erano presenti “vaghi et bellissimi giardini ornati di molte maniere di fruttiferi alberi, colle belle topie, dalle quali ne tempi idonei pendono i poderosi grappi di diverse maniere di uve”. E poi fontane e giochi d’acqua che rendevano questa palazzo una “comodissima fabbrica”. Le stanze interne, giudicate da Giorgio Vasari accompagnato da Giulio Romano, erano “non men belle che quelle del castello e del palazzo del Te“.

Bibliografia. Giulio Romano a Mantova, editrice Sintesi, 1987

Immagine. Municipio di Marmirolo, fonte Wikipedia