Giovannino, il Duomo e Gian Galeazzo. Milano capitale del gotico

Non sappiamo la data di nascita di Giovanni de’ Grassi. Però gli ultimi dieci anni della sua vita sono ben documentati perché attivo presso la Fabbrica del Duomo di Milano dal 5 maggio 1389 sino al 5 luglio 1398, data della morte. Sono note anche le sue abilità: pittore, miniatore, scultore e architetto. Il lavoro alla Fabbrica ha riguardato gran parte della sua famiglia. Il fratello Paulino risulta collaboratore dal 3 ottobre 1395 e poi citato una sola altra volta il 9 febbraio 1396. Anche un suo figlio, Salomone, fu assunto come ingegnere del Duomo il 21 settembre 1398 ma risulta già morto nel dicembre 1400.

Complessivamente Giovannino viene citato nella Fabbrica oltre cinquanta volte. Eppure rimane per buona parte in ombra la sua formazione lombarda e in che modo e dove sviluppa le sue competenze di architetto, scultore, orafo e anche di maestro vetraio che verranno poi utilissime nel cantiere del duomo di Milano.

Dal 1370 illustra 50 fogli per l’Offiziolo di Gian Galeazzo Visconti, un grande libro di preghiera che riproduce scene di paesaggi fantastici e immagini naturalistiche. Una combinazione tra reale e fantastico che danno vita al mondo di Giovannino e al contempo di allineano con un’arte che ha un sapore più europeo. Dentro troviamo i temi cortesi e cavallereschi, il fortissimo carattere realistico, lo sviluppo della miniatura e uno stile raffinato. In Italia Milano diventa la capitale di questo stile.

Occhio che indaga, si sofferma sulla realtà, fantastica con la mente lucida, il gusto della drôlerie è tutto quello che si rivela nel suo Taccuino. Disegnato su pergamena è composto da 31 carte, distinte in 4 fascicoli su cui sono presenti 67 soggetti e 24 lettere dell’alfabeto. La sequenza dei fascicoli probabilmente non è quella originale, ma risale al Cinquecento. Gli animali sono disegnati a penna e leggermente acquerellati. Cervi, dame, pavoni, leopardi al collare, scimmie e istrici. L’ultimo fascicolo contiene l’alfabeto figurato: incastri di piccole figurine umane e animali che formano le lettere. A lui viene attribuita l’Historia plantarum in cui si vede la rappresentazione di un drago. Una tradizione lombarda che passerà a Michelino da Besozzo, ai fratelli Zavattari e al veronese – ma internazionale – Pisanello.

Bibliografia: https://www.treccani.it/enciclopedia/giovannino-de-grassi_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/ Giovannino de Grassi. La corte e la cattedrale, Silvana Editoriale 2000 | http://www.opificiodellepietredure.it/index.php?it/892/bergamo-biblioteca-civica-giovannino-de-grassi-taccuino-di-bergamo

Immagine: Giovannino de’ Grassi, Taccuino, 1390 (Biblioteca Civica, Bergamo)

La politica in pittura. La bottega Zavattari, Teodolinda e i Visconti

Milano 1386. Si avvia il lungo e infinito cantiere del Duomo. Tra il 1407 e il 1409 è attestata la presenza del pittore Cristoforo – maestro vetraio – e capostipite della famiglia Zavattari che lavorò nel milanese per tutto il Quattrocento. Suo figlio Franceschino è documentato dal 1417 fino al 1453 nella realizzazione delle vetrate del Duomo. Franceschino ha avuto tre figli: Giovanni, Gregorio e Ambrogio e lavorò con loro agli affreschi della Cappella della Regina Teodolinda nel Duomo di Monza.

Gli affreschi sono datati tra il 1444 e il 1446 mentre Pisanello era ancora in vita e aveva ultimato il lungo ciclo di Palazzo Ducale. La bottega-famiglia Zavattari, con una monumentale opera di 500 metri quadri, si occupa di celebrare la regina medievale Teodolinda come fondatrice del duomo di Monza. Prima sposa di Autari, re dei longobardi, e poi del duca Agiululfo, Teodolinda fu in seguito la reggente del figlio Adaloaldo. Gli affreschi ricostruiscono la vita della regina in 45 scene collocate su 5 registri sovrapposti. Il repertorio di immagini e di fatti è basato sull’Historia Longobardorum di Paolo Diacono e sul cronista Bonincontro Morigia. Il progetto iconografico doveva essere più esteso e coinvolgeva l’abside maggiore e la cappella di destra. Il committente è Filippo Maria Visconti, duca di Milano, che legittima così la discendenza femminile del regno. Infatti privo di successori diretti e maschi, il duca decise di riconoscere la figlia naturale Bianca Maria come sua erede. Nel 1441 si celebra il matrimonio con Francesco Sforza. Tre anni dopo nasce l’erede ovvero Galeazzo Maria.

Così allora Teodolinda diventa il nobilissimo precedente a cui i Visconti-Sforza si rivolgono giustificando la scelta del duca Filippo Maria. La duchessa Bianca Maria è la nuova Teodolinda, entrambe con le stesse funzioni di governo e stessi obiettivi politici. Dietro l’altare si trova il sarcofago in cui nel 1308 furono traslati i resti di Teodolinda dall’antica Basilica di Monza.

Le scene rappresentano fatti storici ma con abiti e atmosfere cortesi e viscontee. Il cielo è dorato. Le figure allungate e dettagliatissime richiamano lo stile del varesino Michelino da Besozzo. I volti sembrano proprio estratti da un Libro d’Ore: gli occhi attenti, la canna nasale a punta e la boccuccia sempre stretta sono gli elementi di un mondo ricamato a ritmi lenti e calcolati. Gli abiti provengono direttamente dal guardaroba dei Visconti.

 

Immagine: Banchetto di nozze, particolare degli Affreschi della Cappella di Teodolinda (1444-1446)

Bibliografia: La cappella di Teodolinda nel duomo di Monza. Atlante iconografico, Fondazione Gaiani 2016 | http://www.museoduomomonza.it/regina-teodolinda/la-cappella/ 

Un milanese a Praga. Dalle vetrate del Duomo alle meraviglie di Rodolfo

L’Arcimboldo lavora a Praga come pittore di corte per 25 anni. Dal 1562 al 1587 ha visto passare tre imperatori germanici. Rodolfo II certamente fu il personaggio più curioso e che fece di Praga una fucina di talenti internazionali in molti campi, soprattutto magia, astronomia e scienza. Arcimboldo pensava ai suoi quadri nella stessa atmosfera di Keplero, Brahe, Giordano Bruno, Edward Kelley e John Dee. Giuseppe, nato a Milano, era figlio di Biagio pittore accreditato presso la Veneranda Fabbrica del Duomo e discendente da un ramo cadetto di una nobile famiglia milanese, gli Arcimboldi appunto. Nel 1549, lo sappiamo dai documenti, è alle prese con i cartoni per le vetrate del Duomo. Cosa ci faceva un milanese a Praga? Il suo ruolo al servizio dell’imperatore era di ingrossare la collezione di curiosità con l’acquisto di antichità, animali impagliati e uccelli esotici. Oltre a questo ruolo doveva organizzare gli eventi di Corte e questo passava dalla realizzazione di disegni che poi sono stati raccolti nel cosiddetto Carnet di Rodolfo II. 148 disegni, custoditi presso gli Uffizi, che rappresentano costumi di scena, carri allegorici, slitte e acconciature. Nel Cabinet di Rodolfo II trovavano posto ovviamente le immagini quasi surreali di Arcimboldo, una composizione di frutta, verdura e animali che insieme raffiguravano ritratti bizzarri dalle fattezze umane ma descritti come un preciso puzzle di naturalia. Nulla però sappiamo del suo aspetto fisico. Nel 1590 appare a Mantova un trattato che descrive le sue opere compilato da Gregorio Comanini. Le produzioni dell’Arcimboldo erano considerate come fantasiose metamorfosi della natura e imitazioni di cose formate dalla natura. Un artificio che ben si inseriva nelle stranezze di un cabinet delle corti europee.

Bibliografia: Rudolf e Margot Wittkower, Nati sotto Saturno, Einaudi 2016.

Immagine: Estate 1572 

Autoritratto                              Particolare