Ciarlatani, speziali e cavadenti. La medicina a Mantova nel Settecento

16 agosto 1768. Maria Teresa d’Austria proibisce alle spezierie religiose di vendere medicinali al pubblico. Questi potevano solamente essere dati come dono agli ammalati poveri. Le tariffe dei medicinali, in genere, dovevano essere controllate dal Collegio dei medici e poi passare all’approvazione da parte del Consiglio di Giustizia.

Com’erano i medici mantovani nel Settecento? Non così all’avanguardia. Infatti non si scostarono molti dalle tradizionali e precedenti teorie degli umori. La Medicina, nonostante le riforme austriache e la creazione di un’accademia dedicata (1768), continuava a basarsi sui preparati dei secoli precedenti. Solo in qualche occasione si introducono nuove profilassi come la vaiolizzazione. Continuavano inoltre ad essere confermati i vecchi privilegi. I medici non erano tenuti a presentare la parcella per ottenere l’onorario ma bastava dichiararlo oralmente. I chirurghi invece, come i farmacisti, dovevano averla scritta. I medici stranieri che volevano esercitare in città dovevano sostenere gli esami previsti dagli statuti. Non seguivano lo stesso iter i cavadenti. I ciarlatani invece dovevano chiedere al Collegio dei Medici prima di vendere i loro preparati. Gli speziali, in una comunicazione del 1773, dovevano “levarsi di notte o far levare qualcheduno de’ suoi per somministrare, quando occorra, il bisognevole rimedio a quelli che lo ricercano, massime se a Persone Nobili”.

Il Collegio degli Speziali nella metà del Settecento ha una nuova sede. Nello Statuto dei farmacisti – 30 giugno 1755 – si sposta all’angolo di via Chiassi con via de’ Cani. Su una pietra angolare è incisa la data 1754.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Pietro Longhi, La bottega dello speziale, 1752 circa, olio su tela (Venezia, Gallerie dell’Accademia)

Parrocchie, conventi e monasteri. Mettiamo ordine tra i molti ordini

Le parrocchie di Mantova nella seconda metà del Settecento, prima delle grandi riforme teresiane e giuseppine, sono 16. L’ente monastico più ricco è quello di San Domenico. Le parrocchie di San Silvestro e Santa Maria della Carità hanno numerose botteghe in affitto così come i barnabiti in San Carlo. Questa situazione si ripete in realtà anche per gli altri ordini monastici i cui patrimoni variano da 1.000 ai 3.000 scudi con le eccezioni del Duomo, Sant’Andrea, San Domenico e San Barnaba. Gli enti infatti non solo hanno ampie proprietà fondiarie ma partecipano all’attività cittadina attraverso il prestito di denaro a cui attinge specialmente la nobiltà.

Sono 36 i conventi e i monasteri, 1 Monte di Pietà, 44 tra compagnie, confraternite e oratori e 9 enti di assistenza come i luoghi pii, orfanotrofi e ospedali. Di questi 3 sono riservati alle donne (le Zitelle di Sant’Anna, la Misericordia e le Donne Penitenti), 2 ai bisognosi (Pio luogo dei Poveri e del Soccorso) e 3 sono gli orfanotrofi (Pio luogo Orfani della Fiera, di Sant’Antonio e quello Regio nell’ex monastero di Sant’Agnese).

L’elenco degli ordini presenti a Mantova occuperà le prossime righe, sono molti e spesso occupano più slot nella stessa parrocchia. Agostiniane di S. Spirito, Agostiniani di S. Agnese, Barnabiti di S. Carlo, Benedettine di S. Giovanni, Benedettini di Ognissanti, Camaldolesi della Fontana, Canonichesse lateranensi della Cantelma, Canonici lateranensi di S. Sebastiano, Cappuccine, Cappuccini, Cappuccini Riformati di S. Spirito, Carmelitane del Carmelino, di S. Teresa, Carmelitani del Carmine, Carmelitani Scalzi di S. Teresa, Certosini della Certosa, Crociferi di S. Tommaso, Domenicane di S. Vincenzo, Domenicane Terziarie di S. Domenico, Domenicani di S. Domenico, Filippini di S. Filippo Neri, Francescane di S. Giuseppe, di S. Lucia, di S. Orsola, di S. Maddalena, di S. Elisabetta, di S. Paola, Terziarie di S. Francesco, di S. Francesco, Minimi di S. Francesco da Paola, Olivetani di S. Cristoforo, Servite di S. Barnaba, Terziarie di S. Barnaba, Serviti di S. Barnaba, Teatini di S. Maurizio.

Si tratta di 36 enti regolari. Tutto il loro valore scudato è di 84.705 ovvero cinque volte tanto il Palazzo Ducale a parità di contesto e di momento storico.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Tersa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Parrocchia di Santa Carità, catasto di Mantova 1771. Mappa disegnata fra il 1822 e il 1824

Conti, marchesi e consiglieri. I nobili nella Mantova austriaca e dove trovarli

Dal catasta teresiano apprendiamo che l’area del Quartiere Maggiore era composto dalle parrocchie di San Leonardo, Gervasio, Ambrogio e Simone. All’anno 1770 risultano presenti 427 edifici con una popolazione di 3.914 di cui 403 religiosi. Il quartiere ospita un numero considerevole di insediamenti abitativi e questo ne fa l’area con il maggior numero di nobili.

La chiesa di Sant’Ambrogio si trovava di fronte al Palazzo d’Arco nell’area dell’attuale piazza verso vicolo Serpe ovvero nella Contrada della Serpe. Viene demolita nel 1786.

Infatti in media il quartiere raggiunge il 21% dello scudato, la punta massina risulta essere proprio nella parrocchia di Sant’Ambrogio, quasi il 33%. Si segnalano il marchese Carlo Capilupi, il conte Gherardo D’Arco e il vicino marchese Alfonso Dalla Valle, il marchese Tommaso Arrigoni, i conti Giuseppe e Aliprando Arrivabene, il marchese Lepido di Gazoldo e la marchesa Marianna Caracci Gagi. A questi si aggiunge la presenza degli esponenti dell’amministrazione statale come i consiglieri e nobili Francesco Tamburini e Ferdinando Santorio, il sindaco fiscale Francesco Tassoni e altri professionisti.

Questo quadro d’insieme ci porta a fare alcune considerazioni: mostra la presenza a Mantova di un clima sociale da Ancien Régime nonostante la scrematura della nobiltà voluta dal governo austriaco; significa la presenza di palazzi nobili di lunga tradizione – basti pensare agli Arrivabene – e una densità urbana che porta questi personaggi spesso a situazione di vicinato ricordando, per certi versi, la situazione di consorteria medievale.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Facciata di Palazzo d’Arco

Il Ghetto, le oche e il conteggio del catasto

Mantova 1750. In città non si potevano tenere nessun genere di animali come bovini, maiaoli e oche se non in luoghi adatti, controllati e dove il Magistrato alla Sanità aveva rilasciato la regolare licenza ad uso proprio o pubblico, di allevamento, produzione e vendita. La stessa misura si poteva leggere negli editti del 20 maggio 1701 e 30 maggio 1703 sotto i Gonzaga.

In una relazione del 1769 si rileva che nel Ghetto erano presenti migliaia di oche tenute in ambienti angusti già occupati dalla più forte densità di popolazione in città. Gli ebrei facevano commercio con le oche, le allevavano per trasformarle in salami e in altre prelibatezze.

La relazione del 18 agosto 1769 fa il punto della situazione e fa la conta di 14 anni di licenze rilasciate e numero di oche presenti. Dal 1753 al 1767 ci sono state in totale 183 licenze e 9.081 oche ovvero 648 di media all’anno. Nello specifico si rileva che se ne contano 2.066 in 43 granai delle case, 1.157 in 32 camere, 40 in una cucina sotto il secchiaro, 44 sotto 4 sottoscala, 4.837 nei 90 rivolti (sotterranei), 100 nei cortili e 80 sparse nei diversi luoghi della casa.

Negli ultimi anni registrati e soprattutto a partire dal 1762 il numero delle licenze rilasciate è diminuito in modo quasi drastico. Da 14 a 3 a 8 a 4 nel 1767 e 6 nel 1768 e 1769. A causa delle condizioni sanitarie molte licenze vennero tolte e nel complesso se ne limitarono la concessione. Il documento, unito al lavoro maniacale del catasto teresiano, documenta le condizioni di vita del Ghetto negli anni che anticipano la liberazione francese del 1797. Qui nel 1770 si contano 2.118 persone che costituivano l’8% della popolazione mantovana complessiva ma in uno spazio molto limitato. Camere, camerini, rivolti e granai creavano quel complesso labirintico e angusto dove per ogni ebreo c’erano 4,5 oche.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia 1980

Immagine: Patatrac, Gaetano Chierici 1890

Mantova 1770. Religiosi, chiese e parrocchie

Mantova 1770. Viene realizzato un censimento della città che vive lo splendore del periodo teresiano. Al tempo si contavano 25.000 abitanti. Nello specifico per quanto riguarda il comparto ecclesiastico si contano 1.845 religiosi di cui 488 sacerdoti secolari e 514 frati e 843 monache. I religiosi costituivano allora circa il 7,4% della popolazione totale.

Mantova era ancora una città più di chiese che di caserme. La città era suddivisa in sedici parrocchie. Prima la Cattedrale e poi Sant’Ambrogio, Sant’Apollonia, San Barnaba, Santa Carità, Santa Caterina, Sant’Egidio, San Gervasio, San Giacomo, San Leonardo, San Lorenzo, San Martino, Ognissanti, San Silvestro, San Simone e San Zenone. I documenti catastali riportano che a questa data erano presenti 78 edifici del culto cattolico comprese chiese, oratori pubblici e semipubblici, 22 erano le comunità conventuali femminili e 16 quelle maschili.

Il Vescovado si trovava ancora nella sua vecchia sede ovvero nello spazio oggi occupato dal Seminario diocesano, alla sinistra della Cattedrale. Il Seminario invece era situato dall’altra parte della via Cairoli. Solo nel 1823 il centro della vita cattolica sarebbe passato nel Palazzo già dei marchesi Bianchi.

Tuttavia il mondo ecclesiastico regolare stava per essere sconquassato dalla riforma teresiana. A partire dal 1771 si sarebbero avviate le soppressioni delle corporazioni e degli edifici religiosi con meno di 12 religiosi.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Palazzo Bianchi (fonte wikipedia)

Conteggi e numerologia del catasto teresiano. Mantova una città in verticale

Descrizione geografica e civile della città di Mantova dove si dimostrano le strade, le chiese e li conventi, le piazze, li teatri, le torri principali ed altri luoghi rimarcabili della stessa città dell’anno 1781.

Questa l’intestazione della mappa conservata presso l’Archivio Storico Diocesano di Mantova e che fotografa in numeri il patrimonio cittadino. Il periodo austriaco è contraddistinto per il rigore e la prassi catastale di segnare, segnalare, numerare, chiudere e aprire edifici, fare spazio, chiudere gli spazi, spostare opere e quadri da una chiesa all’altra. Il modello del catasto, voluto da Maria Teresa d’Austria, arriva anche a Mantova dopo che aveva interessato l’area milanese dal 1718 al 1760. Le legende della mappa raccontano di: 19 parrocchie, 17 conventi dei frati, 20 conventi delle monache e 22 oratori per un totale di 81 chiese. Attualmente in città ne sono rimaste 23 – poco meno del 30% – escludendo quelle sconsacrate, chiuse o adibite ad altra funzione di San Cristoforo, Santa Paola, Santa Lucia, e Santissima Trinità. Quasi ogni chiesa aveva il suo campanile. Il numero così elevato può dare un’immagine della città caratterizzata da una forte presenza di elementi verticali di diverse altezze.

La mappa riporta altre legende e altri conteggi. 6 sono le torri, 5 i teatri, 5 le cupole, 11 le piazze, 7 le porte compresa quella di Catena da dove entrano le navi.

Tra Settecento e Ottocento la produzione cartografia diventa fondamentale strumento di conoscenza del territorio per stabilire confini, controllarlo dal punto di vista fiscale fino ad arrivare ad un suo utilizzo nel campo militare, delle fortificazioni e idrografico come già avevo intuito Leonardo a Milano.

 

Bibliografia: Le chiese della città di Mantova nel ‘700. Repertorio, fa parte di Quaderni di San Lorenzo 17, Mantova 2019

Immagine: Mappa della città di Mantova, 1781, Archivio Storico Diocesano