Verona prima dell’anno mille e le vicende di Raterio tre volte vescovo

C’è una rappresentazione di Verona nota con il nome di Iconografia rateriana o Civitas Veronensis Depicta. Si tratta della più antica rappresentazione della città e risale alla prima metà del X secolo. Perché porta questa nome?

Da Raterio, vescovo, predicatore e scrittore, nato a Liegi nell’887. Studia nell’Abbazia benedettina di Lobbes divenendone poi monaco. Nel 931 con l’abate di Lobbes arriva in Italia, viene accolto dal re Ugo di Provenza, cugino dell’abate, e nello stesso anno riceve il vescovato della Diocesi di Verona. La situazione rimane stabile per soli due anni poi, in conflitto con la diocesi e con il re, Raterio viene mandato a Pavia in prigione – secondo Raterio si è trattato di carcerale supplicium – poi in esilio a Como da dove scappa per trovare rifugio in Provenza nel 939. Qui rimane cinque anni prima di rientrare nell’abbazia di Lobbes. Tra il 946 e il 948 diventa per la seconda volta vescovo di Verona prima di fuggire di nuovo, destinazione Germania. Dal 935 al 955 ricopre l’incarico di vescovo di Liegi ma viene cacciato anche da qui. Siamo arrivati al 962. Terza volta a Verona e per la terza volta viene nominato vescovo grazie all’appoggio di Ottone I. Sei anni dopo nuova fuga, nuovo rifugio nell’abbazia di Lobbes.

A Verona Raterio si è contraddistinto per un marcato attivismo nel governo della diocesi e nell’amministrazione dei beni della Chiesa locale. Forse fu proprio questo il motivo che avviò i contrasti con il re Ugo che infatti non gli ha voluto corrispondere una parte consistente di entrate spettanti all’episcopio. L’ostilità tra i due non va oltre ma si concretizza nell’occasione di allontanarlo da Verona grazie alla campagna di conquista condotta da Arnolfo duca di Baviera. Il conte di Verona Milone e lo stesso Raterio si schierarono probabilmente con Arnolfo mentre il re Ugo, uscito vincitore dallo scontro, ha avuto così il pretesto per allontanare il vescovo da Verona.

L’iconografia rateriana, come del resto le mappe del tempo, non volevano essere una rappresentazione esatta del luogo. Semmai se ne evidenziano i luoghi principali. Il fiume Adige sgorga dalla bocca di un vecchio e divide Verona in due parti uguali. Nell’inferiore gli edifici della civitas antica – fra cui l’Arena – nella superiore invece la parte che corrisponde al Colle San Pietro ovvero il castrum tardoantico. Qui vengono rappresentati il teatro romano – definito arena minor – e il palatium, sede del sovrano Teodorico. Il centro esatto dell’iconografia è il pons marmoreum ovvero Ponte Pietra, collegamento e punto di passaggio della Via Postumia. Si tratta del codice appartenuto proprio a Raterio, il ricordo che aveva della città dove è stato vescovo tre volte per un totale di dieci anni, la testimonianza di Verona com’era poco prima dell’anno Mille.

Bibliografia: fonte Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/raterio_%28Dizionario-Biografico%29/

Immagine: fonte wikipedia. Si tratta della copia commissionata da Scipione Maffei

Stare sul ghiaccio che scricchiola. Le drolerie di Bosch e il catalogo dei proverbi

Il mondo pittorico di Bosch è composto da immagini che potrebbero essere definite surrealiste o almeno vanno in quella direzione con un anticipo di almeno trecento anni. La Tentazione di Sant’Antonio, datata 1502, è il primo dei grandi trittici in cui il pittore fa un larghissimo uso del suo microcosmo di drolerie. Sono figurine buffe, brutte, ironiche, quasi scandalose e oltraggiose che spesso traducono dei motti e dei proverbi fiamminghi riguardanti un principio morale e che affondano le loro basi nel Medioevo. Infatti potremmo definire le drolerie come il più dettagliato e completo catalogo di esserini e forme varie che derivano dai codici gotici.

Il Trittico misura 131 x 238 centimetri. Inutile dire che per leggere l’opera non basterebbero delle ore dotate di lente d’ingrandimento, pazienza, curiosità e un buon catalogo di quelle drolerie medievali. Sarebbero ore ben spese ma difficilmente si potrebbe averne un quadro complessivo senza tanti strumenti da incrociare.

Dell’opera si conosce solo il significato principale. Il resto rimane ignoto. Il committente, la funzione o l’occasione, il luogo di esposizione. Facciamo qualche zoom muovendoci all’interno dell’opera. Secondo il principio del mondo sottosopra gli elementi nel microcosmo di Bosch cadono del caos. Attorno ad Antonio si aggirano diavoli-lupo, demoni-cavaliere che usano pesci al posto di una lancia, una barca a vela volante con un piccolo personaggio nudo che si guarda tra le gambe, una brocca animata che sta in bilico su di una falce, pesci volanti e strani pesci che diventano barche, prigioni e marchingegni meccanici. Sulla tavola di sinistra un messaggero gobbo a forma di uccello, dal mantello rosso, si muove sul ghiaccio per consegnare un documento che tiene nel becco. Su questo è impresso un sigillo in cui si legge chiaramente la scritta protio che sta probabilmente per protestatio. L’uccello-messaggero, che porta l’atto d’accusa, avanza sul ghiaccio indossando due pattini su gambe e piedi umani. Nella letteratura del XVI secolo si scrive che il mondo sta camminando sui pattini da ghiaccio intendendo che si procede in una direzione falsa e folle. “Stare sul ghiaccio che scricchiola” era un’espressione che deriva da un proverbio latino del XII secolo che affermava “chi cammina sul ghiaccio, non si dimostra saggio”.

 

Immagine: Particolare, Sant’Antonio è accusato dai diavoli (anta interna sinistra) – Museo Nazionale di arte antica di Lisbona – 1502 circa

Bibliografia: Hieronymus Boasch, L’opera completa, a cura di Stefan Fischer, Taschen 2016 

 

Manovre azzardate e alta velocità su Corso Pradella. Un codice della strada per carrozze

Mantova, fine Settecento. Le strade erano affollate da una serie di vetture, mezzi e persone che richiedevano un maggior controllo e una più ferrea regolamentazione. Le portantine da un teatro all’altro, le carrozze, i carri e i carretti, le merci che provenivano dal porto. Anche di notte la vita stradale si era fatta poco sicura. Da un lato il problema del traffico ma dall’altro l’esuberanza di qualche conduttore che non riusciva a tenere a freno i cavalli. Nel febbraio del 1797 ci pensa il conte Gambattista Gherardo d’Arco a fornire un regolamento univoco e più sicuro. La Notificazione doveva essere una guida pratica, un codice della strada, per poter circolare su Corso Pradella.

La Regia Intendenza Politico Provinciale ordina quanto segue: Primo. Non sarà lecito ad alcuno di voltare colla Carrozza, o Legno qualunque a metà Corso; ma dovrà procedere al termine o da uno, o dall’altro lato per ritornare, quanto per uscire dal Corso. Secondo. Non potrà entrare chiunque con Legno o Carrozza sul Corso se non dal principio, o dal fine del Corso […]; vietato d’avanzare gli altri fuori di linea. Terzo. Le Carrozze, e qualunque altro Legno dovranno appostarsi in linea l’uno dietro l’altro semprecché vogliano fermarsi ai due lati del Corso, vietato mettersi l’uno a lato dell’altro, e ciò per lasciare libero il Corso del mezzo. Quarto. I Padroni de’ Legni si terranno responsabili di qualunque violazione succedesse di tali disposizioni. 

Così firmava il segretario Gallarati del conte d’Arco il giorno 17 febbraio 1797.

 

Immagine: Agata Paladino, Incidente in carrozza (olio su tela 1843)

Bibliografia: Luigi Pescasio, Mantova a lume di candela. Noterelle di vita settecentesca, Edizioni Bottazzi, Suzzara 1998