Mantova 1770. Religiosi, chiese e parrocchie

Mantova 1770. Viene realizzato un censimento della città che vive lo splendore del periodo teresiano. Al tempo si contavano 25.000 abitanti. Nello specifico per quanto riguarda il comparto ecclesiastico si contano 1.845 religiosi di cui 488 sacerdoti secolari e 514 frati e 843 monache. I religiosi costituivano allora circa il 7,4% della popolazione totale.

Mantova era ancora una città più di chiese che di caserme. La città era suddivisa in sedici parrocchie. Prima la Cattedrale e poi Sant’Ambrogio, Sant’Apollonia, San Barnaba, Santa Carità, Santa Caterina, Sant’Egidio, San Gervasio, San Giacomo, San Leonardo, San Lorenzo, San Martino, Ognissanti, San Silvestro, San Simone e San Zenone. I documenti catastali riportano che a questa data erano presenti 78 edifici del culto cattolico comprese chiese, oratori pubblici e semipubblici, 22 erano le comunità conventuali femminili e 16 quelle maschili.

Il Vescovado si trovava ancora nella sua vecchia sede ovvero nello spazio oggi occupato dal Seminario diocesano, alla sinistra della Cattedrale. Il Seminario invece era situato dall’altra parte della via Cairoli. Solo nel 1823 il centro della vita cattolica sarebbe passato nel Palazzo già dei marchesi Bianchi.

Tuttavia il mondo ecclesiastico regolare stava per essere sconquassato dalla riforma teresiana. A partire dal 1771 si sarebbero avviate le soppressioni delle corporazioni e degli edifici religiosi con meno di 12 religiosi.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Palazzo Bianchi (fonte wikipedia)

Quando a Mantova successe un mapèl. Ludovico II, la peste e il lazzaretto

Palazzo Sclafati, Palermo 1446. Il Maestro del Trionfo della Morte sta terminando un affrescando di straordinarie dimensioni. Oggi ignoto, non si conoscono informazioni. Probabilmente straniero, catalano o provenzale, viene chiamato da Alfonso V d’Aragona. Dipinge le atrocità che di lì a poco si sarebbero scatenate nel nord Italia.

Poco dopo la metà del Quattrocento a Mantova viene costruito il Lazzaretto di Mapello nella zona di confluenza tra il Naviglio e il Lago Superiore. Si tratta di una costruzione in anticipo rispetto ad altre città come Milano dove la prima proposta fu avanzata solo nel 1468. Quello di Mantova si data dieci anni prima. Il termine ha anche una profonda radice popolare. Mapèl è un’espressione che viene usato per alludere ad una situazione di confusione. Per i mantovani significava la peste.

Il nome Mapello è già presente nel XII secolo quando viene citato nel 1189 un tale Guilielmi de Mapello e nel 1199 un Guilielmo Mapelli, entrambi come teste di atti notarili. Nel 1443 viene citata invece la presenza di un taverna. Questa informazione fa pensare che la zone fosse già luogo di passaggio. Con l’avvio dei lavori del Naviglio – datazione 1455 – si intensifica la costruzione dell’Ospedale. Tre anni più tardi si apprende che il marchese Ludovico II Gonzaga ha “una casetta a Mapello” dove si stabiliscono gli zoieleri a lavorare. A questa data la zona quindi risulta una borgata con una taverna, alcune abitazioni, lavoratori saltuari e abitanti residenti nei pressi. I lavori subiscono una brusca interruzione nel periodo in cui alloggia in città il papa Pio II che, per l’occasione, visita il lazzaretto e “lì stete fino la sera”. Nel 1461 si procede alla copertura dei tetti e subito dopo nei documenti si parla di letti forniti da trasportare al Mapello ovvero con l’occorrente per essere usati. Nel Mapello c’era anche una piccola chiesa dedicata a San Lino. L’ospedale è terminato. Giusto in tempo perché nell’ottobre del 1463 scoppia una nuova epidemia di peste. Il marchese e la sua famiglia si trasferiscono a Revere così come quegli abitanti che si spostano nelle campagne. Ludovico, riferendosi al Mapello, scrive degli ammalati: “lì ge serìa proveduto de medicine et quanto havesse bisogno et se moriseno, morerìano come cristiani, che stasendo ali casoni mòreno come cani”. Da un primo resoconto datato dicembre del 1463 si può desumere che il Lazzaretto ospitasse fino a 50 ammalati, ricoverati in ambienti separati a seconda dello stadio della malattia e senza discriminazione tra cristiani ed ebrei. L’epidemia del 1463 passò come le altre arrivate in precedenza lasciando lo spazio per il conteggio dei morti, il risanamento e l’aumento di popolazione. La calma durò soli 5 anni. Arrivarono poi le ondate del 1468 e del 1478. Il Mapello divenne il centro di isolamento per gli infetti più gravi. Fra il 30 settembre e il 1 ottobre 1478 vennero censite in città 8.795 persone. 

 

Immagine: Trionfo della Morte, 1446 – Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo

Bibliografia: Giuliano Mondini, Soave: il territorio e la sua gente, 1997