Un ungherese a Ferrara tra Leonello e Borso

Pannóniai Mihály ovvero l’italianizzato Michele Pannonio, noto anche come Michele Ongaro o Michele Dai. Nasce in Ungheria, prima del 1415, e muore a Ferrara nel 1464 vivendo il periodo di governo di Leonello e di Borso d’Este.

Lavora infatti per Leonello allo Studiolo di Belfiore dove realizza una delle nove muse ovvero Thalia, oggi conservata al Museo di Belle Arti di Budapest. Lo Studiolo così come la residenza di Belfiore – una delle delizie estensi – sono andati perduti a causa di un incendio nel 1632.

Pannonio lavora tra due linguaggi, quello gotico e le prime novità del Quattrocento. La sintesi che ne emerge si vede chiaramente nella musa Thalia. La figura allungata, il panneggio quasi scolpito, l’esuberanza decorativa e i motivi classicheggianti. Tutti rimandi a differenti linguaggi: le novità della bottega padovana dello Squarcione, lo stile dei fiamminghi, l’arte veneta, quella fiorentina di Piero della Francesca, la miniatura estense e la scultura di Donatello.

Tra le ipotesi possibili c’è chi suggerisce un periodo di formazione presso la bottega di Gentile da Fabriano e di conseguenza la visione diretta dei monumenti, delle opere e dei linguaggi di Firenze, Roma e Padova. Si inserì di certo nella cultura italiana anche dal punto di vista sociale visto che, oltre a risiedere alla corte di Ferrara, sposò la figlia del medaglista Giovan Battista Amadeo.

Bibliografia: Monica Molteni, Cosmè Tura, Federico Motta Editore 1999

Immagine: Thalia,1456-1457 (Museo di Belle Arti di Budapest)

L’archibugio di Antonio da Suzzara e le guerre di Ongheria

Suzzara, 18 ottobre 1600. Antonio di Milani da Suzzara viene carcerato e condannato in contumacia “nella pena della gallera ò, per altra pena personale ò reale al arbitrio di Sua Altezza”. Motivo: “per havere del mese di novembre 1599 portato per il Dominio di Mantova et spetialmente per le piazze di Suzara un archobuggio da rota longo senza licentia et contro l’ordini”.

Antonio aveva 39 anni e 2 figli. Afferma di provenire dalla Ongheria ovvero dall’Ungheria e “si credeva poter portar detto archibuggio e che hà servito à casale per soldato per 3 anni”. Alla fine del documento si chiede che il detto Antonio venga graziato e rilasciato purché vada immediatamente a servire come soldato presso Casale Monferrato “per annum continuum”.

Nello stesso momento Vincenzo I Gonzaga sta proseguendo le sue spedizioni proprio in Ungheria contro i Turchi. Un’ennesima prova di coalizione fiacca tra principi cristiani per scacciare il tanto famoso “pericolo turco”. Nelle tre spedizioni, tra 1595, 1597 e 1601, non riuscì una sola volta a dare prova dei suoi valori militari. Durante l’ultima “impresa” del 1601 Vincenzo ottiene la luogotenenza generale e strinse d’assedio Canissa ovvero Nagykanizsa. I Turchi, dall’altra parte, offrono una valorosa resistenza. L’organico dei giannizzeri nel 1603 era di 14.000 unità. La conclusione vede soccombere Vincenzo e battersi in ritirata.

 

Immagine: Miniatura di moschettiere giannizzero, Libro dei costumi Ralamb, XVII secolo

Bibliografia: Relazioni su delitti commessi nelle terre dei Gonzaga dal 1492 al 1722, a cura di Brenno Pavesi, Edizioni Bottazzi, Suzzara 1993 | A.S. MN., A.G., b. 3470