Quando a Venezia correvano centoventi tori. I patrizi, il popolo e la licenza del parroco

Sembra impossibile ma nei secoli passati avremmo visto dei tori correre per Venezia e delle persone ad inseguirli. La cosiddetta “caccia dei tori” si praticava durante il Carnevale nei campi di Santa Maria Formosa, di San Polo, di Santa Margherita e di Santo Stefano. O almeno era necessaria una certa ampiezza per lo spettacolo. Il toro veniva trattenuto per le corna con due funi lunghissime tirate da due o tre uomini chiamati i tiratori. Tra i più bravi le cronache citano il patrizio Girolamo Savorgnan.

Infatti a queste cacce partecipavano tutti, sia patrizi che popolani e potevano osservare lo spettacolo in appositi palchi che venivano preparati oppure se ne stavano sopra le altane. Il dipinto di Gabriele Bella raffigura la caccia dei tori alle Chiovere di San Giobbe. Le chiovere erano dei luoghi aperti in cui si tendevano i filati e i tessuti che venivano appesi ai chiodi. In questa piazza abitavano i Cavagnis, una grossa famiglia di beccai. Ogni anno organizzava una festa invitando la famiglia dei Diedo con banchetto e caccia ai tori. Chi non partecipava poteva vedere dai balconi lo spettacolo.

Le cacce durarono anche nel Settecento e nell’Ottocento utilizzando l’alternativa “alla spagnola”. Infatti in quella del gennaio 1783 in Campo San Polo si vede la presenza di due toreri spagnoli. Per loro non finì bene, uno fu incornato. Alcune precisazioni: sarebbe più corretto chiamarle cacce dei buoi e non dei tori. Inoltre il tutto veniva regolamentato da precise norme di comportamento e da una buona prassi urbana. Una volta individuato il luogo di svolgimento si andava dal parroco della parrocchia di riferimento e si chiedeva se l’attività poteva dare disturbo alle funzioni religiose. Serviva quindi una licenza del parroco. Una volta ottenuta si chiedeva quella formale al Consiglio dei Dieci. I promotori si occupavano di gestire l’organizzazione degli ospiti, della pubblicità alla popolazione e nel luogo prescelto si affiggeva un cartello con scritta la data dell’evento.

Quanti tori o buoi avremmo visto? Nelle grandi occasioni potevano essere fino a un centinaio. L’evento organizzato nel 1767, in onore di Carlo Eugenio Duca del Wurtemberg, se ne utilizzarono 120.  

Bibliografia: Battagia Michele, Ci­calata sulle cacce di tori veneziane, Tipografia Merlo, Venezia 1844 | Busetto Giorgio, Crona­ca veneziana: feste e vita quotidiana nella Venezia del Settecento, Fondazione Scientifica Querini Stampalia, Venezia 1991 | Curiosità veneziane. Ovvero origini delle denominazioni stradali di Venezia, Filippi 2009

Immagine: Gabriele Bella, La caccia dei tori alle Chiovere di San Giobbe (Querini Stampalia, 1779)

Parrocchie, conventi e monasteri. Mettiamo ordine tra i molti ordini

Le parrocchie di Mantova nella seconda metà del Settecento, prima delle grandi riforme teresiane e giuseppine, sono 16. L’ente monastico più ricco è quello di San Domenico. Le parrocchie di San Silvestro e Santa Maria della Carità hanno numerose botteghe in affitto così come i barnabiti in San Carlo. Questa situazione si ripete in realtà anche per gli altri ordini monastici i cui patrimoni variano da 1.000 ai 3.000 scudi con le eccezioni del Duomo, Sant’Andrea, San Domenico e San Barnaba. Gli enti infatti non solo hanno ampie proprietà fondiarie ma partecipano all’attività cittadina attraverso il prestito di denaro a cui attinge specialmente la nobiltà.

Sono 36 i conventi e i monasteri, 1 Monte di Pietà, 44 tra compagnie, confraternite e oratori e 9 enti di assistenza come i luoghi pii, orfanotrofi e ospedali. Di questi 3 sono riservati alle donne (le Zitelle di Sant’Anna, la Misericordia e le Donne Penitenti), 2 ai bisognosi (Pio luogo dei Poveri e del Soccorso) e 3 sono gli orfanotrofi (Pio luogo Orfani della Fiera, di Sant’Antonio e quello Regio nell’ex monastero di Sant’Agnese).

L’elenco degli ordini presenti a Mantova occuperà le prossime righe, sono molti e spesso occupano più slot nella stessa parrocchia. Agostiniane di S. Spirito, Agostiniani di S. Agnese, Barnabiti di S. Carlo, Benedettine di S. Giovanni, Benedettini di Ognissanti, Camaldolesi della Fontana, Canonichesse lateranensi della Cantelma, Canonici lateranensi di S. Sebastiano, Cappuccine, Cappuccini, Cappuccini Riformati di S. Spirito, Carmelitane del Carmelino, di S. Teresa, Carmelitani del Carmine, Carmelitani Scalzi di S. Teresa, Certosini della Certosa, Crociferi di S. Tommaso, Domenicane di S. Vincenzo, Domenicane Terziarie di S. Domenico, Domenicani di S. Domenico, Filippini di S. Filippo Neri, Francescane di S. Giuseppe, di S. Lucia, di S. Orsola, di S. Maddalena, di S. Elisabetta, di S. Paola, Terziarie di S. Francesco, di S. Francesco, Minimi di S. Francesco da Paola, Olivetani di S. Cristoforo, Servite di S. Barnaba, Terziarie di S. Barnaba, Serviti di S. Barnaba, Teatini di S. Maurizio.

Si tratta di 36 enti regolari. Tutto il loro valore scudato è di 84.705 ovvero cinque volte tanto il Palazzo Ducale a parità di contesto e di momento storico.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Tersa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Parrocchia di Santa Carità, catasto di Mantova 1771. Mappa disegnata fra il 1822 e il 1824

Conti, marchesi e consiglieri. I nobili nella Mantova austriaca e dove trovarli

Dal catasta teresiano apprendiamo che l’area del Quartiere Maggiore era composto dalle parrocchie di San Leonardo, Gervasio, Ambrogio e Simone. All’anno 1770 risultano presenti 427 edifici con una popolazione di 3.914 di cui 403 religiosi. Il quartiere ospita un numero considerevole di insediamenti abitativi e questo ne fa l’area con il maggior numero di nobili.

La chiesa di Sant’Ambrogio si trovava di fronte al Palazzo d’Arco nell’area dell’attuale piazza verso vicolo Serpe ovvero nella Contrada della Serpe. Viene demolita nel 1786.

Infatti in media il quartiere raggiunge il 21% dello scudato, la punta massina risulta essere proprio nella parrocchia di Sant’Ambrogio, quasi il 33%. Si segnalano il marchese Carlo Capilupi, il conte Gherardo D’Arco e il vicino marchese Alfonso Dalla Valle, il marchese Tommaso Arrigoni, i conti Giuseppe e Aliprando Arrivabene, il marchese Lepido di Gazoldo e la marchesa Marianna Caracci Gagi. A questi si aggiunge la presenza degli esponenti dell’amministrazione statale come i consiglieri e nobili Francesco Tamburini e Ferdinando Santorio, il sindaco fiscale Francesco Tassoni e altri professionisti.

Questo quadro d’insieme ci porta a fare alcune considerazioni: mostra la presenza a Mantova di un clima sociale da Ancien Régime nonostante la scrematura della nobiltà voluta dal governo austriaco; significa la presenza di palazzi nobili di lunga tradizione – basti pensare agli Arrivabene – e una densità urbana che porta questi personaggi spesso a situazione di vicinato ricordando, per certi versi, la situazione di consorteria medievale.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Facciata di Palazzo d’Arco

Sanità a Venezia. Rete capillare di magistrature, piovani e parrocchie

Il Magistrato alla Sanità viene approvato il 9 gennaio 1489 e durerà fino alla fine della Repubblica della Serenissima. Ovviamente gli inizi vedono parecchie difficoltà soprattutto dovute all’inserimento e al coordinamento con le magistrature già presenti come ad esempio il controllo della qualità dei cibi. Antagonismi, giurisdizioni e controversie. Nel 1504 la Sanità acquisisce il potere di torturare e dare “pene corporali ed ultra”, nel 1529 avrà piena giurisdizione sui poveri e nel 1539 sulle meretrici, nel 1545 può ordinare a tutti gli ufficiali di ogni magistratura in ogni territorio della Repubblica in materia di poveri e pestilenze.

Si avvale poi della preziosa rete territoriale dei gestori del culto come i piovani che si occupavano delle numerose chiese. Essi costituivano degli autentici operatori sanitari in quanto rilevavano dati utili ai fini epidemiologici e anagrafici. Voleva dire sapere, anche se attraverso una fonte secondaria, nascite e morti, battesimi e funerali di ogni parrocchia. Saranno i piovani – su ordine del 1489 – gli incaricati di denunciare la peste al suo primo manifestarsi, di visitare giornalmente gli infermi e tenere aggiornato un libretto da presentare proprio all’Ufficio di Sanità, chiedere la licenza per per seppellire i morti e denunciare gli ammalati. Le denunce segrete poteva arrivare anche in maniera anonima dai cittadini avvenivano che scrivevano i nomi e li inserivano nelle cosiddette bocche di leone. Nel 1511 si ordina ai piovani, o qualcuno dei loro preti, di essere presenti alla redazione della nota e dell’inventario delle persone e delle cose che vengono portate al Lazzaretto.

Bibliografia: Nelli-Elena Vanzan Marchini, Venezia la salute e la fede, Dario De Bastiani editore, Vittorio Veneto 2011

Immagine: Boca da leon, Chiesa di Santa Maria della Visitazione (degli_Artigianelli)

Mantova 1770. Religiosi, chiese e parrocchie

Mantova 1770. Viene realizzato un censimento della città che vive lo splendore del periodo teresiano. Al tempo si contavano 25.000 abitanti. Nello specifico per quanto riguarda il comparto ecclesiastico si contano 1.845 religiosi di cui 488 sacerdoti secolari e 514 frati e 843 monache. I religiosi costituivano allora circa il 7,4% della popolazione totale.

Mantova era ancora una città più di chiese che di caserme. La città era suddivisa in sedici parrocchie. Prima la Cattedrale e poi Sant’Ambrogio, Sant’Apollonia, San Barnaba, Santa Carità, Santa Caterina, Sant’Egidio, San Gervasio, San Giacomo, San Leonardo, San Lorenzo, San Martino, Ognissanti, San Silvestro, San Simone e San Zenone. I documenti catastali riportano che a questa data erano presenti 78 edifici del culto cattolico comprese chiese, oratori pubblici e semipubblici, 22 erano le comunità conventuali femminili e 16 quelle maschili.

Il Vescovado si trovava ancora nella sua vecchia sede ovvero nello spazio oggi occupato dal Seminario diocesano, alla sinistra della Cattedrale. Il Seminario invece era situato dall’altra parte della via Cairoli. Solo nel 1823 il centro della vita cattolica sarebbe passato nel Palazzo già dei marchesi Bianchi.

Tuttavia il mondo ecclesiastico regolare stava per essere sconquassato dalla riforma teresiana. A partire dal 1771 si sarebbero avviate le soppressioni delle corporazioni e degli edifici religiosi con meno di 12 religiosi.

Bibliografia: La città di Mantova nell’età di Maria Teresa, Regione Lombardia, Mantova 1980

Immagine: Palazzo Bianchi (fonte wikipedia)

Conteggi e numerologia del catasto teresiano. Mantova una città in verticale

Descrizione geografica e civile della città di Mantova dove si dimostrano le strade, le chiese e li conventi, le piazze, li teatri, le torri principali ed altri luoghi rimarcabili della stessa città dell’anno 1781.

Questa l’intestazione della mappa conservata presso l’Archivio Storico Diocesano di Mantova e che fotografa in numeri il patrimonio cittadino. Il periodo austriaco è contraddistinto per il rigore e la prassi catastale di segnare, segnalare, numerare, chiudere e aprire edifici, fare spazio, chiudere gli spazi, spostare opere e quadri da una chiesa all’altra. Il modello del catasto, voluto da Maria Teresa d’Austria, arriva anche a Mantova dopo che aveva interessato l’area milanese dal 1718 al 1760. Le legende della mappa raccontano di: 19 parrocchie, 17 conventi dei frati, 20 conventi delle monache e 22 oratori per un totale di 81 chiese. Attualmente in città ne sono rimaste 23 – poco meno del 30% – escludendo quelle sconsacrate, chiuse o adibite ad altra funzione di San Cristoforo, Santa Paola, Santa Lucia, e Santissima Trinità. Quasi ogni chiesa aveva il suo campanile. Il numero così elevato può dare un’immagine della città caratterizzata da una forte presenza di elementi verticali di diverse altezze.

La mappa riporta altre legende e altri conteggi. 6 sono le torri, 5 i teatri, 5 le cupole, 11 le piazze, 7 le porte compresa quella di Catena da dove entrano le navi.

Tra Settecento e Ottocento la produzione cartografia diventa fondamentale strumento di conoscenza del territorio per stabilire confini, controllarlo dal punto di vista fiscale fino ad arrivare ad un suo utilizzo nel campo militare, delle fortificazioni e idrografico come già avevo intuito Leonardo a Milano.

 

Bibliografia: Le chiese della città di Mantova nel ‘700. Repertorio, fa parte di Quaderni di San Lorenzo 17, Mantova 2019

Immagine: Mappa della città di Mantova, 1781, Archivio Storico Diocesano