Grana Padano. Una storia in scaglie

Ogni volta che ci mettiamo in bocca un pezzo di grana forse non gustiamo fino in fondo la sua storia millenaria. Allora facciamolo con pochi e semplici suggerimenti che ad esempio non vi faranno confondere tra Grano e Parmigiano

Tutto comincia nella Pianura Padana. L’origine del Grana Padano risale al 1135 grazie alla ricetta dei monaci benedettini dell’Abbazia di Chiaravalle per conservare per più tempo il latte in eccesso abbondantemente prodotto. Dopo vari tentativi matura l’idea di far cuocere a lungo il latte, aggiungendo il caglio e poi sottoponendolo a salatura. Da qui si passa alla fase fondamentale ovvero la stagionatura che dona al grana il suo gusto autentico. Viene infatti chiamato dai monaci caseus vetus, formaggio vecchio. Lo si chiama da tempo “Grana” per via dei granelli bianchi di cui è composta la sua pasta. Cosa sono? Cristalli di calcio. Una miniera di sapore. Il Grana era presente sulla tavola del Principe e i Gonzaga a Mantova non solo lo mangiavano ma lo inviavano come dono politico. Isabella d’Este invia a Ferdinando d’Este “due peze che fanno una forma integra, quale goderà per mio amore”. In un’altra lettera Isabella consiglia di mangiare il “formazo duro cum la fava”. Parola di buongustaia, provate! Non solo Grana ma anche Parmigiano perché il fattore Bartolomeo Pancera giura a Isabella che le sue otto forme di grana hanno “tri ani a questo magio proxino”. 36 mesi di bontà!  E qui veniamo all’annoso e secolare dilemma: Grana o Parmigiano? Dipende dalla sponda del Po: a sinistra c’è il Grana, a destra il Parmigiano. E poi è una questione di stagionatura: da 9 a 24 mesi il Grana, fino a 36 mesi il Parmigiano.

A Mantova, al Museo Francesco Gonzaga, viene raffigurato un grande pezzo di Grana sulla tavola imbandita dell’Ultima Cena. Siamo nel XVIII secolo. E voi di che formaggio siete? Grana o Parmigiano?

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