Le armature di Fornovo. Dal campo di battaglia al Santuario di Grazie

6 luglio 1495. Nella campagna tra Fornovo, Collecchio e Noceto si svolge la battaglia tra l’esercito dei Carlo VIII e la lega antifrancese formata dagli eserciti di Milano e Venezia. Tanti i mercenari: italiani, albanesi, dalmati, greci e tedeschi che si mescolano a quelli del re francese. Lo scontro fu breve – un’ora, forse meno – e sanguinoso dove si contano circa tremila morti, il risultato incerto. Oggi potremmo parlare di pareggio anche se a quel tempo ognuno si sentiva il vincitore. Sicuramente così si sentiva Francesco II Gonzaga che comandava il grosso dell’esercito composto per circa tre quarti da soldati veneziani e affiancato da Alessio Beccaguto.

1928, Grazie di Curtatone. Il barone inglese Sir James Gow Mann, in sopralluogo a Mantova, comunicò alla Società inglese degli Antiquari la scoperta che le armature di cui erano rivestite un gruppo di statue dell’impalcatura lignea nel Santuario non erano di cartapesta, come da secoli si riteneva, ma erano pezzi autentici. Alcune vengono demolite per recuperare  quell’incredibile scoperta delle dodici armature gotiche in seguito riassemblate. Datazione: XV e XVI secolo. Dodici in tutto ma sei erano davvero all’avanguardia per l’epoca. Si trattava di armature molto pratiche durante la guerra perché ricoprivano completamente il cavaliere ma al contempo permettevano di muoversi in modo armonico e non meccanico.

Come sono arrivate al Santuario di Grazie a Curtatone? Tra le varie ipotesi è tuttora valida quella che fa risalire una parte delle armature, le più raffinate, alla famiglia Gonzaga e destinate alla chiesa come oggetto di dono. Vennero scelte e spedite le armature dall’Armeria ducale. Non si tratta però di quelle di Federico II bensì di Francesco II. La manifattura è milanese, precisamente dei Missaglia, e considerata di assoluto livello, un’autentica “firma” nel campo. Si trattava infatti delle armature indossate durante la battaglia del Taro.

Le statue, collocate in precedenza sull’impalcatura lignea, vennero realizzate a partire dagli anni venti-trenta del Cinquecento. Prima della loro demolizione dovevano essere il risultato di una composizione tra elementi polimaterici e parti originali di armature. Un documento ci assiste: il 21 gennaio 1542 il conservatore Caremolo da Modrone registrava sei armature da uomo d’arme già appartenute a Francesco II Gonzaga. Una di queste, quasi certamente, fu quella indossata dal marchese durante la battaglia di Fornovo e visibile nella Pala della Madonna della Vittoria dipinta realizzata da Andrea Mantegna. L’esame dei particolari ha portato gli studiosi a identificarla con la B3: la resta sulla parte destra del pettorale, l’ampia guardagoletta sopra la resta, le alette a farfalla a protezione della cubitiera e del ginocchietto. Una storia di cura per i dettagli e di occhi curiosi che oggi potete ritrovare e rileggere al Museo Diocesano di Mantova.

 

Immagine: Particolare dell’armatura di Francesco II Gonzaga, Pala della Madonna della Vittoria (Museo del Louvre 1496)

Bibliografia: Paolo Bertelli, Tornei, battaglie e la guerra contro il turco: le armature dei Gonzaga nella ritrattistica tardomedievale e rinascimentale, Postumia 2017

“Un coccodrillo sostenuto da ferri”. Simbolo, reliquia e bizzarria

Inventario del Palazzo Ducale, 1714. All’interno della quarta stanza della Galleria detta del Passerino si legge “in detta soffitta un coccodrillo sostenuto da ferri”. In realtà fonti precedenti ci informano della presenza di almeno 5 coccodrilli impagliati, scorticati e appesi con catene. Sembra plausibile che uno di questi sia quello trasferito al Museo Diocesano. Prima dell’attuale collocazione il coccodrillo era conservato nel Seminario Diocesano e prima ancora nelle raccolte del Museo di Storia Naturale del Ginnasio. Questo esemplare non è da confondere con quello più recente catturato da Giuseppe Acerbi nel suo viaggio in Egitto che avrebbe dovuto essere collocato nella Chiesa di Castel Goffredo come ex-voto per essere ritornato sano e salvo. Il rettile di Acerbi viene ricordato dalla Gazzetta di Mantova del 29 novembre 1830.

L’esemplare appeso e incatenato all’interno del Santuario della Madonna delle Grazie si riferisce molto probabilmente al XV secolo e inserito proprio come reliquia e simbolo apotropaico. Forse è legato alla presenza dei pescatori e ad una vicenda successiva alla fondazione della Chiesa avvenuta nel 1406. Non si conosce la sua esatta provenienza. Storielle e leggende fanno da perimetro al suo corpo straziato e imbrigliato. Una tradizione popolare e consolidata racconta di un coccodrillo fuggito dal serraglio di dei Gonzaga a Marmirolo e che in breve tempo divenne il terrore del lago Superiore. Catturato e appeso diventa il simbolo del mostro sconfitto. Secondo gli studi compiuti da Paolo Bertelli, che ha preso in esame 65 casi italiani ed europei, quello di Grazie si potrebbe trattare di uno dei coccodrilli più antichi. Viene mostrata proprio la relazione tra il santuario mariano e la presenza del rettile incatenato quasi a simboleggiare la sfida e la lotta tra salvezza e perdizioni. Un monito per i fedeli.

 

Immagine: coccodrillo del Santuario delle Grazie 

Bibliografia: Dai Gonzaga agli Asburgo, L’inventario del 1714 di Palazzo Ducale, Edizioni Speroniane 2008 | Paolo Bertelli, La Vergine e il drago. Lo strano caso dei coccodrilli nei santuari mariani, Universitas Studiorum 2018