Cronaca di una morte annunciata. Il processo di Agnese Visconti e Antonio da Scandiano

La storia di Agnese Visconti parla di punizione, di politica maschile, di matrimoni giovanissimi e di una giustizia regolamentata ma poi da modificare a seconda delle esigenze. Agnese e il suo amante Antonio da Scandiano vengono arrestati il 27 gennaio 1391. Francesco I Gonzaga ritiene che l’adulterio della moglie è un crimine nei confronti del suo status. Oltre alla relazione reale che Agnese aveva con Antonio c’è da aggiungere la morte del padre Bernabò Visconti ad opera di Gian Galeazzo con il quale si schiera Francesco. Dalla legislazione comunale per gli accusati di adulterio non era prevista la pena di morte ma una una pena pecuniaria di 100 soldi per l’uomo e nessuna sanzione per la donna. Tra il 4 e 7 febbraio del 1391 si svolge il processo all’interno di una sala del palazzo – sala dei Cimieri – e non nel Tribunale. I giudici sono due: Obizzo dei Garsedini, una delle più note famiglie bolognesi, e Giovanni della Capra, un cittadino di Cremona con licenza in diritto civile. A questi si aggiunge il notaio Bartolomeo de Bomatiis, cittadino mantovano. I testimoni sono sette, tre uomini e una donna. Antonio da Scandiano l’amante, Iacopo Chayno il cameriere del signore, Pietro da Bologna che scopre l’amante, Sidonia di Pavarolo e Beatrixia le domicelle, Domina Brigida e Donna Isabeta la governante della figlia di Agnese. Il processo è di tipo inquisitorio e le prove sono schiaccianti soprattutto grazie al contributo delle due domicelle che rivelano una serie di intimi particolari. La fine del processo si risolve in breve: si legge agli amanti l’atto d’accusa, si chiede loro se riconoscono per vero quanto esposto – cosa che fanno – e i giudici danno un termine di 24 ore per preparare una propria difesa. Cosa impraticabile. La sera dell’8 febbraio scade il termine. La sera stessa o il mattino dopo, molto presto, Agnese e Antonio vengono condannati a morte. Lei per decapitazione e lui per impiccagione all’interno del brolo di Corte Vecchia. Giovanni Cavallo è il carnefice assegnato da giudici. La dote di Agnese e i beni di Antonio vanno al Comune di Mantova. Non ci sono testimoni, probabilmente non c’è Francesco. Il processo termina così.

Bibliografia: Elisabeth Crouzet-Pavan, Jean-Claude Maire Viguer, Decapitate. Tre donne nell’Italia del Rinascimento, Einaudi 2019

Immagine: Bernabò Visconti e Beatrice della Scala, genitori di Agnese (Cappellone degli Spagnoli, Chiesa di Santa Maria Novella Firenze, 1365-1367)