I corami tra Bologna e Venezia. Quando i maestri avevano i cuoridoro

Nel dipinto su tela attribuito a Ludovico Carracci, cugino dei fratelli Agostino e Annibale Carracci, si vedono due giocatori di scacchi. Non sappiamo molto. La scacchiera è appoggiata su un tavolo dal tessuto estremamente raffinato, i pezzi rimasti sono pochi e la partita sembra essere giunta nelle sue fasi conclusive. Il giocatore di destra sembra attendere la mossa dell’avversari e intanto riflette sulla sua prossima da compiere e fare scacco matto.

La partita in realtà sembra più il pretesto per raccontare l’ambiente dove avviene. Tutto è decorato con i corami. Dal latino corium si tratta di un cuoio lavorato a pannelli con motivi decorativi e utilizzati nell’arredamento. Dal rivestimento dei libri, alle seggiole fino alle pareti dei palazzi. Chiamato anche cuoio cordovan dal suo più prestigioso luogo di produzione ovvero la Spagna musulmana, il corame veniva lavorato a fondo dorato o argentato e dipinto a vivaci colori trasparenti con martellatura a cesello. Quelli veneziani prendevano il nome di cuoridoro.

Così anche Bologna diventa un fondamentale centro di produzione soprattutto su commissione degli Estensi. Venivano eseguiti per lo più apparati da camera ovvero lotti di corami d’oro o pelli di diverso colore spesso con fregi e decorazioni a candelabre. Come è il caso del dipinto di Carracci.

In Italia i maggiori centri di produzione, oltre a Venezia e Bologna, furono Napoli, Roma, Ferrara e Modena. Nelle corti del Rinascimento furono usati come sostituti più economici degli arazzi e soprattutto come paramenti da tappezzeria da esporre in occasione di ricevimenti e nell’accoglienza di personaggi importanti. A Venezia il giro d’affari si aggirava sui circa 100.000 ducati e coinvolgeva 70 botteghe. Nel 1569 i maestri cuoridori fecero il salto di livello e furono ammessi alla corporazione della Scuola dei Pittori.

Bibliografia: David Shenk, Il gioco immortale. Storia degli scacchi, Mondadori 2008

Immagine: Ludovico Carracci, Giocatori di scacchi, 1590