L’Ospedale Grande di Mantova. Una storia di spostamenti

1450. Mentre il mondo – o almeno l’Europa – viene attraversato dalla rivoluzionaria stampa della Bibbia di Gutenberg a caratteri mobili a Mantova è in atto un cambiamento urbano e di pensiero. Per volontà del marchese Ludovico II si avvia il cantiere della costruzione dell’Ospedale Grande che doveva riunire e fondere i preesistenti ospedali e ospizi presenti in città e nei borghi limitrofi. La bolla di papa Niccolò V, del 14 marzo 1449, andava proprio nel verso di un’evoluzione laica delle locali attività assistenziali.

L’ARCHITETTO. Il progetto viene affidato o ad Antonio Manetti, allievo del Brunelleschi, e documentato a Mantova tra il 1448 e il 1552 oppure a Luca Fancelli. Più famoso, più quotato e allievo di Leon Battista Alberti e già al servizio dei Gonzaga dal 1451. Comunque tutto è in linea con il dictat imposto da Ludovico: la renovatio urbis della città deve passare attraverso le forme fiorentine.

IL LUOGO. L’edificio viene eretto nel quartiere di San Leonardo, in una zona rialzata e ritenuta salubre e la più adatta dopo i controlli del caso. Facilmente accessibile per via d’acqua e di terra, dai cittadini e dal contado, vicina all’Ancona di Sant’Agnese e al ponte dei Mulini. Della struttura non è rimasto quasi nulla a parte i cortili e qualche capitello ma l’area è identificabile con l’attuale sede della Polizia stradale. L’ospedale, ormai in linea con quelli già costruiti, doveva prevedere una serie di giardini e cortili interni, uno spazio centrale che potesse agire da controllo periferico e un chiostro lungo tutto il perimetro. Una volta incamerati gli archivi e sistemate le diverse aree e relative funzioni, l’edificio inizia a svolgere la sua attività dal 1472 anche se non del tutto terminato. La chiesa centrale del complesso fu dedicata a Santa Maria del Consorzio.

LE DATE. L’edificio svolse le sue funzioni fino al 1630. In seguito al sacco di Mantova, al cambiamento tra Gonzaga e Nevers e ad una conduzione amministrativa poco virtuosa l’Ospedale si avviò verso un declino economico e di importanza. In seguito il governo austriaco dal 1770 promosse indagini statistiche e sanitarie, proposte di risanamento che comportarono il trasferimento all’Ospedale Grande dei beni del soppresso monastero dei padri Camaldolesi e del patrimonio delle monache di Sant’Orsola. Intanto Paolo Pozzo viene incaricato di restaurare l’edificio e si proporre altre soluzioni tra cui i progetti di riconversione dell’ex convento di San Sebastiano e della Favorita. Ma il 1797 e le truppe di Napoleone incombono e l’Ospedale fu trasferito per un solo anno nel convento di San Barnaba. Qui rimase fino al 1811 quando poi fu spostato negli edifici conventuali della Chiesa di Sant’Orsola e nella vicina Casa Sacchetti in corso Vittorio Emanuele. Ora l’Ospedale occupa le dimensioni di un intero quartiere, fino a via Solferino, per un totale di 18.000 metri quadrati.

L’ULTIMO SPOSTAMENTO. La nuova sede si dimostrò insufficiente e inadeguata soprattutto per le necessità di isolare i malati di tubercolosi, per problemi igienici e il bisogno di costruire nuovi reparti per le cure idro ed elettroterapiche. Nel 1904 si affronta il problema della nuova collocazione. Scartata l’ipotesi di corso Garibaldi si arriva alla decisione finale e conclusiva di individuare l’area, fuori dalle mura cittadine,  di Belfiore ora detta borgo Pompilio. Il primo padiglione progettato è proprio quello per i tubercolosi, anno 1913, ad opera dell’architetto bolognese Giulio Marcovigi. La nuova struttura composta da 11 palazzine, 4 padiglioni principali, l’ospedale infantile e la chiesa venne inaugurato il 28 ottobre 1928.

 

Immagine: Libro degli infermi dello Spedale Civico di Mantova, 1807-1821 (ASMn, Ospedale vers. 2002, busta 83, n. 1) 

Bibliografia: Quadri, libri e carte dell’Ospedale di Mantova. Sei secoli di arte e storia, Tre lune edizioni, 2002.